Se devo essere sincera al primo momento non mi convinceva, probabilmente perché la storia mi incuteva un senso di ansia, di qualcosa di sospeso probabilmente percepivo una scrittura “nervosa” un voler raccontare tante cose: ricordi, luoghi che si accavallavano. Ma poi proseguendo e delineandosi l'intricata personalità della protagonista , ho capito tutte quelle emozioni che legavano Alma alle situazioni di cui spesso era succube più che protagonista.
Alma ritorna a Trieste ormai adulta chiamata dal suo amico, amato, misterioso Vili per ricevere l'eredità del padre affidata a Vili stesso. Percorrendo le vie della città ricorda momenti della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua giovinezza; nei luoghi ritrova le persone amate, i nonni materni, austrungarici nel loro ordine e profonda cultura.
Personaggi totalmente diversi dei suoi genitori: una madre più presente nella città dei matti, e un padre al di qua e al di là di un confine che quella volta, quando Alma era bambina, era la cortina di ferro. La figura del padre poco presente, misterioso, tuttavia amato molto dalla figlia e dalla moglie. E poi Vili, arrivato bambino, non si sa da dove né perché: compagno di giochi, quasi un fratello, con cui Alma condivide confidenze, luoghi proibiti, i tuffi ai Topolini.
Nel passare da luoghi diversi, al di qua e al di là del confine, in periodi diversi quasi con una frenesia nella ricerca di risposte. Forse questo senso di precarietà, insicurezza le viene da questa città; una città sospesa tra mare e Carso, nel tempo e nel luogo; città di frontiera, di scontri ideologici mai risolti, con varie identità che diventano altro da ogni punto da cui la si guardi; è un impeto alla fuga,coi suoi abitanti sempre in attesa di non si sa cosa...e una voglia continua di andarsene per provare la nostalgia e ritornare.
Ma poi come dice Alma “Andarsene a fare un tuffo, il rimedio che la città le ha insegnato per ogni dolore o paura...”
Federica Manzon - Alma - Feltrinelli editori