οδός

il blog

dei liberi pensatori

Poesia di Marino Micich (maggio 2017)
A Riccardo Gigante e a tutti i caduti senza croce e umana giustizia delle terre istriane fiumane e dalmate

La fine di Riccardo Gigante
Fiume 4 maggio 1945

 Nella sera si ode l’eco ormai spento dei proiettili,

il tonfo cupo di una granata e poi il silenzio.  

Il vento porta cenere da Santa Caterina.

Il monte e il mare

presto torneranno quieti.

Le onde del Quarnaro

disperdono dubbi di interi anni.

La battaglia non ha più forma

e non è nostra la vittoria.

Verso la Torre Civica vanno incontro

I partigiani slavi con la stella.

Scendono guardinghi da Drenova 

nella città muta, sgomenta.

Io che studiai la storia e le leggi,

gli usi e i costumi, la lingua avita.

Io Riccardo Gigante, la cui voce 

dichiarò forte e decisa 

la libertà italiana di Fiume 

solo, sconfitto

guardo oltre i vetri delle finestre

senza più speranza, né timore

la città Olocausta.

Come l’Eneo che scorre veloce incontro al mare

dovrò presto cadere,

ritornare al mistero

che ci rende tutti uguali.

La notte impallidisce ovunque

La fredda morte mi cerca.

Battono stivali stranieri le calli 

della Cittavecchia,

solo il ferro fa eco al silenzio

voci nell’ombra si rincorrono. 

Io che desideravo essere soprattutto uomo di libri,

di arte, di poesia, di storia e di civiltà,

tra breve giacerò nell’umida e nuda terra.

Andrò incontro al mio destino

senza cercar la fuga

Orgoglioso mi presenterò

a chi vuol cancellare  Fiume. 

Armi, divise, corone

della nostra Patria

da tempo ci hanno abbandonato.

Il cerchio degli eventi si sta chiudendo

Finalmente scopro la mia sorte,

la forma che Dio 

sapeva dall’inizio.

Nello specchio delle prime luci

scorgo il mio volto eterno illuminarsi.

Il calpestio dei passi, le ombre dei mitra 

Un urlo rivolto alle scale

L’indice puntato

sul mio petto 

Vogliono me e i fiumani.

Mi spingono lungo le scale

mani ruvide

fin dove si apre la strada.

Siamo forse una decina,

fratelli in un’unica fede

che il piombo e l’acciaio delle lame dilanieranno.

Passano veloci i pochi attimi di vita

camminiamo verso il colle di Castua

Muti con i volti chini 

entriamo nella cittadina.

Lungo le mura diroccate

di una vecchia chiesa 

ci fermano rauche voci straniere.

Rimaniamo fermi, in piedi, silenziosi.

Brilla ancora nel cielo qualche rara stella.

I nostri occhi fissi sui carnefici

in attesa della fine. 

Un ultimo grido  ancora si leva fra noi a salutare l’Italia!

Siamo ancora vivi.

Ecco il primo colpo,

ne segue un altro

e un altro ancora!!

Ecco il duro piombo

a squarciarmi il petto..

Ecco il freddo coltello 

conficcarsi nella gola.

             

Marino Micich

chi cerca trova

cerca un articolo o una citazione usando una o più parole chiave.

newsletter

Comunicaci qui il Tuo indirizzo e-mail: Ti avviseremo dell'uscita di ogni novità su questo blog. Potrai comunque cancellare il Tuo nominativo in qualunque momento.

procedi

  • 1

Ti informiamo che questo sito utilizza dei cookies necessari al suo corretto funzionamento.  Con riferimento al provvedimento "Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie – 8 maggio 2014" (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014), si descrivono in maniera specifica e analitica le caratteristiche e le finalità dei cookie installati su questo sito indicando anche le modalità per selezionare/deselezionare i singoli cookie.