di Carmen Palazzolo
È dal 27 settembre di questo 2020 che si sente parlare di scontri fra Armenia e Azerbaijan, due Stati situati all’estremità sud-orientale dell’Europa. “Pesanti combattimenti – si legge su La Repubblica - sono scoppiati domenica mattina tra le forze azere e quelle del territorio separatista, che è sostenuto dall'Armenia. Ci sono vittime, sia militari che civili, anche se non c'è un bilancio complessivo: almeno 16 separatisti del Nagorno-Karabach sono rimasti uccisi e 100 feriti… mentre il presidente dell'Azerbaigian ha parlato di vittime militari e civili senza fornire numeri. Non è chiaro cosa abbia scatenato i combattimenti… L'Armenia accusa l'Azerbaigian di avere lanciato attacchi aerei e con artiglieria nell'ambito di una ‘aggressione pre-pianificata’ e sostiene di avere abbattuto elicotteri e distrutto tank. L'Azerbaigian, dal canto suo, sostiene di avere subito un bombardamento e che la sua sia stata una controffensiva, negando la distruzione di suoi carri armati… “ Le immagini mostrano edifici lesionati e crollati, macerie, voragini per la strada, linee elettriche interrotte, tubature dell’acqua saltate che fanno pensare a persone ferite e morte e vive senza casa, al buio, senza acqua e luce e terrorizzate, in fuga, che non sanno più dove possono trovare rifugio, perché sono i civili che nelle guerre di oggi patiscono più dei combattenti. È un paese lontano da noi e perciò le sue vicende non ci interessano e nei nostri quotidiani se ne parla poco o nulla e ciò da un certo punto di vista è anche strano perché ci commuoviamo e inorridiamo di fronte ad eccidi vicini a casa nostra ma non ci sentiamo toccati da quelli che accadono lontani da noi. Non sono persone sia quelle vicine che quelle lontane?
Le attuali ostilità fra questi due paesi non sono insolite ed hanno origini complesse, anche di carattere religioso ed etnico: l’Azerbaigian è un paese musulmano sciita e parla quello che è in realtà un dialetto orientale del turco, mentre l’Armenia è cristiano-ortodossa e parla una lingua che non ha parenti noti nella famiglia indoeuropea. Ma i due paesi condividono una lunga storia d’oppressione: entrambi avevano trascorso quasi un secolo sotto l’impero della Russia zarista, ritrovando brevemente l’indipendenza durante la rivoluzione, per poi passare altri settant’anni nell’Unione Sovietica. Quando entrambi hanno recuperato nuovamente l’indipendenza, nel 1991, si sono dichiarati quasi immediatamente guerra. La responsabilità della situazione si può far risalire a Iosif Stalin. Egli, quando era commissario per le nazionalità, tra il 1918 e il 1922, disegnò i confini di tutte le nuove “repubbliche sovietiche” non russe nel Caucaso e in Asia Centrale secondo il classico principio del divide et impera. Ogni “repubblica” includeva minoranze etniche delle repubbliche vicine, per minimizzare il rischio che sviluppassero una vera identità nazionale. All’Azerbaigian Stalin attribuì la provincia del Nagorno Karabakh anche se la popolazione di quell’area era per quattro quinti armena. Quando l’Unione Sovietica cominciò a sgretolarsi, settant’anni dopo, le minoranze locali di entrambi i paesi cominciarono a fuggire verso le zone dov’erano in maggioranza per mettersi al sicuro, anche prima che scoppiasse la guerra. La guerra andò avanti dal 1992 al 1994, e fu un conflitto brutale, con pulizie etniche in cui persero la vita seicentomila azeri e trecentomila armeni fuggirono dalle loro case per mettersi in salvo. Fu una guerra in cui, contro ogni logica, l’Armenia, benché con una popolazione di soli tre milioni di abitanti contro i nove milioni di quella dell’Azerbaigian, ha in realtà vinto la maggior parte delle battaglie e l’Armenia è riuscita a mantenere non solo il Nagorno Karabakh, ma anche un’ampia porzione di territorio (ormai svuotato dagli azeri) che collegava quest’ultimo con l’Armenia vera e propria. Ed è precisamente lì che il confine – o più precisamente la linea del cessate il fuoco – è rimasto fino a oggi.
Ora le ostilità fra i due paesi sono riprese probabilmente per iniziativa dell’Azerbaigian perché l’Armenia, che controlla già tutto il territorio che rivendica, e anche di più, non ha alcun interesse ad avviare un nuovo conflitto con lo Stato vicino, del quale è più piccola, meno armata e più povera. L’Azerbaijan, al contrario, ha accumulato grandi ricchezze grazie al petrolio e il suo dittatore “eletto”, Ilham Aliyev, al contrario del nuovo leader dell’Armenia, il primo ministro Nikol Pashinyan, ha un grande bisogno politico di una guerra in questo momento, anche per prolungare il regime dinastico della sua famiglia per una terza generazione.
Secondo le previsioni degli esperti, la situazione si placherà se l’Armenia riuscirà a resistere abbastanza a lungo da permettere alla Russia d’imporre un nuovo cessate il fuoco, altrimenti le cose potrebbero prendere di nuovo una piega molto spiacevole.