di Giorgio Ledovini
Recentemente si è tenuto a Trieste un convegno di studi sull' Acquedotto Istriano, organizzato dall'Associazione delle Comunità Istriane, cui hanno partecipato studiosi residenti in Istria.
Non intendo fare con questo scritto tanto una recensione del convegno, forse un po' sottotono rispetto a quello che l'argomento poteva offrire, quanto cogliere l'opportunità di fare una piccola relazione su quest'opera che mi ha sempre affascinato, sia per le sue caratteristiche tecniche che per l'importanza che ha avuto nella storia dell'Istria del secolo scorso. Essa è sicuramente la più importante fatta dall'Italia in Istria tra le due guerre mondiali, poiché non era volta solamente al soddisfacimento di un'esigenza primaria della popolazione, ma anche a dare linfa vitale per lo sviluppo economico del territorio, principalmente nel campo agricolo.
L'Istria è sempre stata una regione povera d'acqua, per le sue caratteristiche geologiche e morfologiche. La struttura geologica prevalentemente carsica ed una relativa scarsità di sorgenti erano causa da sempre di un'insufficiente irrorazione superficiale del suolo, salvo in poche aree locali. Fino agli anni '20 del '900 l'acqua si prendeva prevalentemente da pozzi o cisterne ove essa si raccoglieva provenendo da sorgente oppure dalla pioggia; comunque essa era spesso insufficiente per la popolazione e scomoda da procurare quando la distanza dalle abitazioni non era agevole e poteva richiedere il trasporto con secchi, brente o botti su asini o carri. Il problema incideva pesantemente nella vita degli abitanti delle campagne, ove c'erano anche luoghi di rifornimento primitivi rappresentati dai cosiddetti “lachi”, stagni di acqua piovana in aree in cui l'impermeabilità del suolo permetteva il contenimento delle acque. Qui normalmente si abbeveravano gli animali ma talvolta l'acqua veniva usata anche per uso domestico.
Le modalità di rifornimento ed uso dell'acqua sopra descritte non rappresentavano soltanto un momento faticoso nella vita giornaliera, ma favorivano spesso la diffusione di malattie, quali tifo, dissenteria, malaria, ecc. La malaria era molto presente nelle aree paludose, come il lago di Cepich, la foce del Quieto, la zona delle ex saline di Capodistria, ecc.
Quanto sopra descritto dette pienamente titolo all'Istria di poter essere inclusa nelle aree interessate dalla Legge sulla Bonifica Integrale (chiamata anche Legge Mussolini) del 1928 che aveva la finalità di promuovere e sostenere economicamente tutte le opere infrastrutturali che davano non solamente un lavoro nell'immediato con l'impegno di maestranze, ma erano anche basilari per il miglioramento sanitario e soprattutto lo sviluppo economico agricolo delle regioni interessate. Queste opere infatti comprendevano acquedotti, risanamento di aree paludose con bonifiche, cura di aree boschive, strade, ecc.. Questo sviluppo, che riguardava soprattutto le zone rurali, veniva inserito anche in una visione di espansione demografica che rientrava nelle finalità politiche di quel regime.
In base a questa legge è stato costituito nel 1929, con la partecipazione di comuni ed agricoltori, il Consorzio di Trasformazione Fondiaria dell'Istria. Sulle finalità del Consorzio riporto di seguito quanto scritto, con il linguaggio retorico del tempo, dal Presidente dello stesso, il Prefetto Mori, nell'introduzione ad un volume sulla parte dell'acquedotto realizzata fino al 1935. Al consorzio “è stata commessa la progettazione e la esecuzione di quanto era necessario all'approvvigionamento idrico del comprensorio, inteso in senso totalitario, sicuro, continuo, sufficiente, previdente, igienico, rapido ed economico, l'Acquedotto Istriano, da costruirsi col 95% di contributo statale (ordinario e straordinario), sorse nella sua vera figura di 'rurale' come primo mezzo allo sviluppo ed alla valorizzazione agricola della provincia ed al suo progresso economico, civile e sociale” .
Tra la fine del '800 e gli inizi del '900 sono stati fatti vari progetti di acquedotto che potessero risolvere il problema dell'acqua in Istria. Quasi tutti questi progetti non sono stati realizzati, principalmente per il loro costo. Quello che dà il via all' attuazione della legge è il progetto dell'ing. Gino Veronese. Esso prevedeva la copertura di tutto il territorio con un unico impianto che si è rivelato tuttavia molto costoso ed è stato interrotto dopo che ne era stata eseguita una parte nella conca di Pinguente. E' subentrato nel 1931 l'ing. Giuseppe Muzi, docente di Costruzioni Idrauliche alla Facoltà di Ingegneria di Pisa, che ha sviluppato un progetto composto da tre sistemi idrici indipendenti. Questa soluzione si è dimostrata più efficiente per la miglior copertura del territorio, più economica nei componenti degli impianti e meglio programmabile nella realizzazione. Si è potuto tener meglio conto di significativi fattori progettuali, quali: utilizzo di una maggior numero di sorgenti, riduzione delle dimensioni e migliori percorsi delle condotte, miglior distribuzione dei serbatoi nelle reti (serbatoi di assorbimento delle variazioni di portata, serbatoi piezometrici, serbatoi di distribuzione su piccole reti indipendenti idraulicamente, ecc..), centrali di sollevamento meglio dislocate e meno costose, ecc.. Con la nuova soluzione le spese totali sono state ridotte da 350 a 200 milioni di lire. Le sorgenti scelte furono: Santa Maria del Risano, S. Giovanni di Pinguente e quelle dell'Arsa e di Cosliaco per l'alimentazione dei tre principali impianti che vengono descritti di seguito.
L'acquedotto del Risano capta l'acqua delle sorgenti a 69,1 m.s.m. Dopo un trattamento di potabilizzazione essa passa in un serbatoio generale di carico situato a 59,1 m.s.m.. L'impianto si suddivide quindi in due rami, uno a gravità per alimentare le cittadine costiere fino a Pirano, con ramificazione finale a Sicciole, l'altro a servire i centri collinari retrostanti, dopo un sollevamento dell'acqua a 280 m. di quota.
Quello del Quieto costituisce la parte maggiore dell'intero acquedotto istriano poiché prende l'acqua dalle sorgenti più abbondanti della penisola, quelle di S. Giovanni di Pinguente. Ci sono cinque polle che emettono l'acqua a circa 49 m.s.m.. La captazione avviene dalla polla principale, seguita da un impianto di potabilizzazione, costituito in sequenza da filtrazione ed ozonizzazione, con una capacità di 200 litri/sec.. A circa 11 km c'è l' impianto di sollevamento di S. Stefano, nella valle del Quieto, che spinge il liquido a due serbatoi. Un serbatoio a 320 m.s.m. che alimenta tutta la fascia costiera da Umago a Rovigno, compresi il Buiese ed i centri degli agri parentino e rovignese fino a Dignano; l'altro serbatoio a 430 m.s.m. che serve le zone interne a nord ed a sud del Quieto, fino ai territori di Pisino e Gimino.
L'acquedotto dell'Istria sud-orientale è costituito da due reti separate. Una, a gravità, è alimentata dalla sorgente di Fianona a 145 m.s.m. a servizio dell'area dell'ex lago di Cepich che è stato bonificato e reso coltivabile. Su questo ramo, dopo un esame igienico e geologico non si è ritenuto necessario un impianto di potabilizzazione. L'altra rete viene alimentata dalla sorgente di Cosliaco a 278 m.s.m. e dalle sorgenti di Carpano e Gherda a 3 m.s.m.. Questa rete è dotata di impianti di potabilizzazione e sollevamento con due serbatoi a circa 360 m.s.m. che alimentano un'area complessa costituita dall'altipiano di Albona e dalla pianura verso Pola.
L'intero sistema dell'acquedotto è stato dimensionato per un incremento di popolazione dal 20% al 40% secondo gli incrementi di sviluppo prevedibili per le varie zone, passando da una popolazione totale residente (possibile beneficiaria dell'acquedotto) di 218.000 abitanti a 300.000. La fornitura giornaliera prevista era di circa 90 litri/giorno per persona.
Pola, non essendo area rurale (come richiesto dalla legge) ed avendo già un acquedotto, non era prevista nel progetto iniziale; verso la fine degli anni '30 si è progettato di includere l'allacciamento di quest'area ad uno dei sistemi descritti.
All'entrata in guerra dell'Italia nel 1940 sono stati completati gli impianti del Risano e del Quieto e solo parzialmente quello dell'acquedotto dell'Istria sud-orientale.
Per inciso il rispetto dei tempi di esecuzione viene addebitato da taluno, oltre che alla capacità e laboriosità di maestranze e responsabili, alla forte personalità del prefetto Mori, presidente del Consorzio. Si narra che questo personaggio, che era stato incaricato di risolvere, con pieni poteri, il problema della mafia in Sicilia, fosse stato trasferito alle bonifiche del Friuli e dell'Istria quando stava per portare alla luce sensibili connessioni della mafia a livello elevato.
Il sistema attuale degli acquedotti in Istria è costituito essenzialmente dagli impianti costruiti dall'Italia, con le dovute sostituzioni per l'invecchiamento ed usura dei materiali e delle macchine nonché per le innovazioni tecnologiche (ad esempio nei sistemi di potabilizzazione) ed il completamento delle aree allora non coperte, compresa l'alimentazione delle singole abitazioni. Tra gli interventi di potenzialità aggiunti va segnalata la creazione del lago di Bottonega, a sud della valle del Quieto.
Una domanda che tutti giudicheranno semplicistica ma che continuerò a farmi: com'è possibile che l'Italia sia stata capace, dopo aver provveduto un'opera così importante per la popolazione istriana, di metterla in secondo piano, quasi nella dimenticanza, con una guerra assurda, illogica, disastrosa, regalarla alla fine ad altri?