(Foiba di Villa Surani 4/5 ottobre 1943)
Di Patrizia Lucchi Vedaldi
Saggio pubblicato - con il Patrocinio della Società Dalmata di Storia Patria-Venezia - nel n. 8 dei "Quaderni di Opinioni Nuove Notizie", a cura dal prof. Sandro Gherro.
Prima di iniziare la presentazione, ricordo che quest’anno si celebra il centenario della nascita di Norma Cossetto e che proprio in questi giorni il Comitato Dieci Febbraio ne onora il settantasettesimo della morte con un’iniziativa che vede una partecipazione nazionale e internazionale intitolata ‘Una rosa per Norma’.
L’‘Associazione civica Lido Pellestrina’ intendeva aderire, ma le troppo recenti elezioni comunali non hanno consentito di coinvolgere la nuova Amministrazione.
Come Associazione lo abbiamo fatto in forma privata, postando oggi 5 ottobre su You Tube la presentazione, nel rispetto del distanziamento sociale dovuto alle disposizioni atte a combattere il coronavirus.
Il saggio inizia con la citazione del primo capoverso tratto dal risvolto della copertina di Terra rossa, saga familiare che parte dal periodo austroungarico e termina con l’Esodo. Uscita nel 1951, venne pubblicata con lo pseudonimo Marino Varini. In realtà l’autore è Marino Meneghaziol. Erano anni in cui a Trieste era consigliata ancora la prudenza nell’affrontare certi temi.
«Rossa è la terra istriana, che s’ingemma a specchio del mare - da Pola a Capodistria – d’Orsera e di Rovigno, di Parenzo e di Pirano:
ma non di bauxite soltanto è rossa anche di sangue».
Rispetto all’ampia bibliografia dedicata a Norma Cossetto, il mio saggio si colloca in modo innovativo. Attraverso una attenta ricerca di documenti e di testimonianze inedite ne ho tracciato un’immagine un po’ diversa.
Il fatto che vengano posti in luce aspetti inediti della sua vita salta agli occhi sin dalla copertina del Quaderno, dove è posto il suo ritratto. Non è il ritratto che siamo abituati a vedere, ma la foto formato tessera conservata nel fascicolo dell’Università di Padova che nel novembre del 1948 le concesse la laurea ad honorem (con cerimonia l’8 maggio 1949).
Ho iniziato questo studio tre anni e mezzo fa, quando a Padova ci sono state delle contestazioni rispetto alla presentazione di un fumetto dedicato alla sua vita.
L’obiezione era: Norma Cossetto era fascista, perciò non va onorata.
Così mi sono chiesta: cosa vuol dire che Norma era fascista? In quegli anni la gran massa degli italiani era genericamente fascista, inoltre Norma di certo non ebbe il tempo di schierarsi pro o contro la Repubblica Sociale: l’hanno ammazzata prima.
Per rispondere comunque a questa accusa ho consultato gli Archivi dell’Università di Padova (Archivio Storico e Archivio dell’Istituto di Geografia).
Il fascicolo a disposizione della Commissione per le onoranze agli studenti caduti, appositamente costituita nel ’46 sulla base del decreto luogotenenziale n. 256/1944, parla chiaro sin dalla copertina, una mano sconosciuta vi ha scritto a matita: ‘uccisa dai partigiani slavi’.
La Commissione si era insediata nel luglio del 1946 con lo scopo di vagliare le posizioni degli studenti caduti in azioni belliche entro il settembre del ’43 e successivamente in azioni legate alla lotta per la Liberazione, al fine di conferire o negare la laurea ad honorem.
La Commissione era presieduta dal prof. Efisio Mameli ed era composta dai professori ex partigiani Norberto Bobbio (poi sostituito da Luigi Carraro) e Lanfranco Zancan. Anche il rappresentante degli studenti, Carlo Cessi, era stato un partigiano.
Non è noto chi segnalò il caso di Norma alla Commissione. L’istruttoria iniziò il 25 novembre con una lettera alla Commissione Triveneta per il riconoscimento dei partigiani, ubicata a Padova e composta da 5 rappresentanti del Ministero della Guerra e 15 rappresentanti dell’Anpi, così suddivisi: 3 delle formazioni Garibaldi; 2 delle Giustizia e Libertà; 2 delle Brigate del Popolo; 3 delle Brigate Matteotti; 5 delle Brigate Autonome.
E’ quindi indubbio che l’Università comunicò tempestivamente e in modo chiaro le sue intenzioni agli ex partigiani. Infatti, nel chiedere un documento che ne comprovasse la morte e le circostanze, precisò che intendeva onorare i suoi studenti caduti e che
«tra di essi è stata segnalata Norma Cossetto di Giuseppe nata a Santa Domenica di Visinada Istria - uccisa dai partigiani slavi».
La Commissione Triveneta non rispose.
L’Università impiegò – invece - circa un anno e mezzo per ottenere risposta dalla famiglia Cossetto, che aveva lasciato l’Istria. Anche il padre di Norma era stato infoibato nell’ottobre del 1943.
Nel mentre, l’Università diffondeva appelli tramite la stampa e la radio cercando testimonianze sulla morte della studentessa istriana (per la quale precisava che era stata uccisa dai partigiani slavi) e su quella di altri studenti dell’Ateneo.
Nella parte che presento oggi (l’altra è in fase di scrittura) ho affrontato l’iter per il conferimento della laurea ad honorem tributatale dalla Commissione dopo un’attenta istruttoria. Alla fine sono pubblicati i principali documenti citati.
Una domanda che mi è stata posta in questo periodo di gestazione – durante il quale ho coinvolto in vario modo e a vario titolo quasi una quarantina di persone – è perché tra le tante donne infoibate (in particolare nel 1943) proprio Norma sia diventata la testimonial.
La risposta che mi sono data è che è stata proprio l’Università di Padova, conferendole la laurea ad honorem, ad accendere i riflettori su di lei. Direi che si tratta in assoluto del primo riconoscimento pubblico dell’Italia repubblicana nei confronti di un martire delle foibe. Eppure oggi non compare a lettere cubitali tra le benemerenze riconosciute alla Cossetto. Viene solo ricordata la medaglia d’oro a valor civile a lei conferita nel 2005.
Non va, comunque, sottaciuto che il nome di Norma era stato assegnato nel 1944/45 al Gruppo d’azione femminile (un unicum dell’Italia repubblichina) formato in maggior parte da donne i cui familiari erano stati uccisi nelle foibe. Ne era madrina la sorella Licia Tarantola Cossetto, che dedicò molta parte della sua vita a tenere vivo il ricordo di Norma.
In sostanza, Norma era prima divenuta un simbolo della Repubblica di Salò. Da quanto ho potuto ricostruire (preciso che il mio saggio non ha alcuna pretesa di essere esaustivo, anzi, ben vengano tutte le segnalazioni di discrepanze e così via) il fatto lo si deve alla sorella Licia Tarantola Cossetto, della cui inclinazione politica si hanno notizie solo dal 1944, quando sposò un ufficiale della RSI. Direi che Licia, nel testimoniare la vita di Norma, abbia applicato la proprietà transitiva: siccome lei aveva aderito all’RSI e suo padre era stato un attivista del partito, indubbiamente Norma era stata un’accesa fascista.
Devo puntualizzare nuovamente che nello studiare il ‘caso Norma Cossetto’ non mi sono accontentata di consultare archivi, ho cercato anche nuove testimonianze sia in Italia che in Croazia. Su questo aspetto, in particolare, ho scambiato qualche e-mail con il prof. Walter Baldaš di Parenzo/Poreč, Ricordo che ad oggi sia in Slovenia che in Croazia è ben viva la Comunità italiana, anche se ormai appartiene alla minoranza.
Tornando al prof. Baldaš, mi ha confermato che non risulta che Norma fosse un’attivista. Eppure era iscritta al GUF di Pola, pertanto notizie sul suo operato se ne potevano raccogliere facilmente in loco. I suoi detrattori evidenziano al più che partecipò ai Giochi della Gioventù e che tirava con l’arco, lascio a chi sta leggendo la valutazione di tali sottolineature.
Quanto al padre, spesso si legge che Norma venne uccisa perché suo padre era fascista. Innanzi tutto va puntualizzato che all’epoca nessuno portò all’attenzione della Commissione questa particolarità e che se fosse stata vera la Commissione non le avrebbe tributato l’alto onore, poiché dove esserci una correlazione diretta tra la causa della morte e la causa della Libertà. Quanto all’adesione del padre al Partito Fascista, ricordo che era stato un dirigente locale, con ciò intendendo Segretario del Fascio e podestà di Visinada. Tuttavia, volendo approfondire questo aspetto, indagherei su possibili inimicizie createsi all’epoca in cui era Commissario Governativo delle Casse rurali.
Sin dal 1530 Visinada era stata feudo della famiglia veneziana Grimani del potentissimo ramo di San Luca (quello del doge Marino e della dogaressa Morosina Morosini, per intenderci). Significativa è la testimonianza seicentesca del vescovo di Cittanova d’Istria Giacomo Filippo Tommasini su come si viveva all’epoca a Visinada. Il vescovo evidenziò in particolare che si vedevano molti vecchi e la gente era in salute. E’ ben noto che sotto la Serenissma non ci furono contrapposizioni tra ‘italiani’ e ‘slavi’ dal punto di vista etnico, le lamentele erano al più di stampo economico-commerciale.
L’Istria rimase feudale fino alla metà dell’800, poi grazie soprattutto all’impegno della Dieta provinciale istriana, iniziò una fase di profondo rinnovamento dell’agricoltura. Tuttavia nel 1895, poco meno di 4000 proprietari terrieri possedevano ancora oltre il 35% delle terre della Corona. Gli squilibri e le tensioni rimasero forti. C’è molta letteratura in materia.
Voglio anche ricordare che la seconda metà dell’800 segnò l’inizio della pulizia etnica in Istria. Significativo è il paragrafo del verbale approvato dal Consiglio della Corona del 12 novembre 1866, dal titolo Misure contro l’elemento italiano/Maßregeln gegen das italienische Element in einigen Kronländern, pochi giorni dopo l’ingresso a Venezia del re Vittorio Emanuele II (7 novembre), che sanciva a tutti gli effetti la fine della terza guerra d’Indipendenza.
Come ben evidenziato da una certa storiografia, il documento è altamente significativo per capire l’intolleranza, la discriminazione, l’emarginazione, nonché la causa dell’odio instillato tra slavi e italiani da quella data. Questo è il testo tradotto in italiano:
«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno».
Questi sono aspetti che approfondirò nella seconda parte del mio studio, in via di ultimazione. Per ragioni che spiegherò ho deciso di dividere in due parti il mio lavoro. Questa che presento oggi è la prima che ho definito ‘Il tempo degli storici’, la seconda è quella che chiamo ‘Il tempo dei geografi’. E’ la parte meno ‘scientifica’ rispetto alla biografia di Norma, nella misura in cui è scarsamente documentata in modo diretto, però è la più innovativa e l’ho condotta con la meticolosità che mi è propria.
Non si può sottacere che Norma Cossetto si stava laureando in geografia con il prof. Arrigo Lorenzi, ma nessuno ha mai interrogato in merito i geografi. Io l’ho fatto e ringrazio per la disponibilità i prof. Mauro Varotto dell’Università di Padova, Sergio Zilli dell’Università di Trieste, Francesco Micelli già dell’Università di Trieste e di Udine, nonché la dott.ssa Chiara Galanti che ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Padova. Ho anche approfondito la figura del ‘geologo istriano’ Carlo d’Ambrosi, l’ultimo professore che vide Norma viva in quel settembre del ‘43. Norma andò a trovarlo nella farmacia di Isola d’Istria, per un consiglio sulla sua tesi di laurea.
Colgo l’occasione per ringraziare anche tutti quelli che in vario modo mi hanno aiutata nella ricerca, e non sono pochi. I loro nomi si trovano in calce al saggio.
Un altro aspetto che affronto è la diceria che la Cossetto fu invitata ad unirsi ai partigiani ma rifiutò. Preciso che non c’è alcuna documentazione in merito, se non la testimonianza tardiva della sorella, dalla quale però si evince che il fatto non ebbe alcuna ripercussione negativa. Infatti, stando al racconto, Norma venne condotta il 26 settembre al Comando partigiano, dove le chiesero di aderire alla causa, e fu rilasciata la sera stessa. L’arresto avvenne il giorno successivo, da quel giorno non tornò più a casa. Rilevo, peraltro, che si tratta di date che non coincidono con gli atti conservati a Padova, dove risulta che venne prelevata dalla sua abitazione il 2 ottobre.
Un’altra testimonianza simile a quella di Licia è quella di Silverio Cossetto, raccolta da Giacomo Scotti, lo scrittore napoletano che vive a Fiume/Rijeka da circa la seconda metà degli anni ‘40. Tuttavia, da quanto ho potuto sommariamente appurare, non è stato un testimone oculare né risiedeva in zona. Casualmente ho avuto modo di parlare con suo figlio Silvano l’anno scorso a Portole/Oprtalj(Istria) ad un raduno del Gruppo Facebook ‘Basta con i Rancori’, quello promosso da Tiziana Dabovic’ (caporedattrice di Arcobaleno il periodico di lingua italiana che si stampa a Fiume/Rijeka). Mi risulta che Silverio Cossetto, ultranovantenne, viva ancora nel capoluogo quarnerino (dove è nato), si potrebbe approfondire con lui la portata della sua testimonianza.
In tutti i casi voglio ricordare che dopo l’8 settembre del ’43 l’Italia era spaccata in due, mentre al nord imperava la Repubblica Sociale di Benito Mussolini, l’Italia monarchica si era rifugiata al sud ormai terra degli Alleati.
Una spaccatura divideva anche i partigiani. Vi era chi accondiscendeva all’annessione dell’Istria Fiume Dalmazia alla Jugoslavia (come richiesto da Tito) e chi si batteva per il mantenimento della sovranità italiana anche in quelle Terre. Vero è che si poteva essere antifascisti e purtuttavia volere che l’Istria rimanesse italiana. E’ il caso, ad esempio, del professore partigiano Giuseppe Callegarini (di origini veneziane), anche lui a suo tempo allievo del prof. Arrigo Lorenzi, massacrato a Pola dai nazi-fascisti nel dicembre del 1944.
Quello che successe in Istria nel settembre del ’43 è ben descritto dallo storico triestino Elio Apih, allora studente dell’Università di Padova. Nell’ottobre di quell’anno accettò una supplenza al Liceo di Pisino. Ecco parte del suo agghiacciante racconto: «Bisogna esser stati in Istria nell’ottobre 1943 (ed io vi sono stato) per capire cosa significava l’espressione ‘atmosfera di morte’ (…). Seicento, forse mille gli uccisi dagli insorti slavi e comunisti, poi vengono i tedeschi e quadruplicano, spesso sparando su quanto si muoveva. Non ci fu famiglia in certe zone dell’Istria, che non pianse un suo membro morto e non pochi paesi dovettero ampliare il loro cimitero, rivelatosi insufficiente alla grande bisogna del momento. (…). il senso di morte è anche offesa della coscienza, eppure venne banalizzato da molti. Oggi è facile dire che fu realtà surreale, surreale è il ricordo attuale, forse incapace di credere ai propri contenuti. La città degli infoibati e la città degli impiccati». Mi sono tornate in mente le sue parole in modo assolutamente casuale lo scorso settembre, mentre con mio marito rientravamo in macchina da Neresine/Nerezine (isola di Lussino/otok Lošinj), paese di origine della mia famiglia. Di solito prendiamo il traghetto a Faresina/Porozina quindi seguiamo la costiera fino ad Abbazia/Opatija per poi entrare nell’interno. Quel giorno mio marito decise di tagliare subito per l’Istria. Sbagliando strada per ben due volte, ad un certo punto ho visto un cartello posto ad un bivio con una freccia che indica ‘SURANI’, impossibile per me non pensare subito alla foiba di Norma. Mi sono venuti i brividi, nello spazio di pochi chilometri abbiamo attraversato i luoghi dove si era consumato il martirio della giovane studentessa. Ho così ripensato a quei trenta giorni di terrore che sconvolsero l’Istria.
Significativo anche il giorno in cui mi sono trovata lì: il 10 settembre. Settantasette anni pima attorno a quella data i nazisti avevano occupato Tieste Pola e Fiume, mentre i partigiani jugoslavi/filo jugoslavi si erano impossessati di Pisino e delle zone interne. La prima strage era avvenuta l’11 settembre a poco più di otto chilometri di distanza da Visignana, ovvero al bivio di Tissano/Tićan dove furono uccise in tutto un’ottantina di persone, tra partigiani e civili.
Mentre rivedevo nella mente quanto avevo studiato in questi tre anni, guardavo il paesaggio che mi circondava: curato e dolce in quell’atmosfera settembrina.
Così mi sono chiesta: come posso spiegare a chi passa oggi per questi luoghi le atrocità accadute nel settembre del ’43? E’ stato allora che ho deciso di scindere in due parti il mio saggio.
Concludendo la presentazione, innanzi tutto tengo a puntualizzare che non affronto se non marginalmente le possibili torture subite da Norma e lo stato in cui venne rinvenuto il suo corpo poiché non sono aspetti discussi dalla Commissione patavina per le onoranze ai caduti.
Rispetto al suo percorso universitario ho, invece, approfondito il ruolo del prof. Concetto Marchesi, che ad oggi viene da molti indicato come il suo maestro.
Mi sfuggono le ragioni in base alle quali ad un certo punto (attorno agli anni cinquanta, da quanto ho potuto appurare) la sorella Licia Tarantola Cossetto iniziò a spargere la voce che era stato il prof. Concetto Marchesi, a volte indicato anche come suo relatore o come rettore dell’Università di Padova all’epoca in cui si svolsero gli accertamenti su Norma), a proporre e sostenere il riconoscimento della laurea ad honorem alla giovane istriana.
Evidentemente l’accoppiata ‘il professore comunista e la studentessa fascista’ piace sia alla destra che alla sinistra, così nessuno ha mai veramente approfondito la questione. Direi nemmeno l’Università di Padova che si limitò ad indicare Norma come allieva di Concetto Marchesi alla storica Claudia Cernigoi con lettera da lei pubblicata nel 2011 a p. 6 del suo dossier intitolato Il caso Norma Cossetto.
Dagli atti risulta che Norma aveva sostenuto l’esame di letteratura latina con il prof Concetto Marchesi il 23 giugno 1941. Da una testimonianza da me raccolta dalla partigiana Paola Del Din Carnielli, anche lei all’epoca studentessa iscritta alla Facoltà di Lettere dell’Università di Padova, suppongo che nella primavera-estate del ’43 Norma stesse preparando la reiterazione di quell’esame. A Norma mancavano quattro esami per conseguire la laurea, tra i quali, oltre a quello di letteratura latina, filologia romanza con il prof. Ortiz, mentre aveva già sostenuto filologia slava con il prof. Arturo Cronia.
Non si può quindi parlare di un rapporto privilegiato tra la studentessa Norma Cossetto e il professore Concetto Marchesi. Il fatto è rilevabile sia dalla carriera universitaria del Marchesi (che peraltro fu rettore dal settembre al novembre del ‘43 e commissario dal maggio al luglio del ‘45 e non oltre), sia dal fatto che (come abbiamo visto) solo nella primavera del 1948 l’Università riuscì a contattare la famiglia Cossetto e che per certificare le cause della sua morte dovettero testimoniare in Pretura di Trieste quattro testi che conoscevano personalmente i fatti.
Non ci sarebbe stato bisogno di produrre atti sostitutivi di notorietà se il Marchesi fosse stato a conoscenza dell’attività di Norma «in favore dell’italianità per la quale la signorina era stata selvaggiamente trucidata». Piaccia o meno, sono parole che pesano come macigni in particolare se scritte ufficialmente da un’Università, come nel caso in parola (lettera del 30 maggio 1948).
Un esempio è quanto avvenne con il partigiano Lodovico Todesco, caduto assassinato sul Grappa nel settembre del 1944, il cui valore venne attestato dallo stesso rettore Egidio Meneghetti. La Commissione accolse questa testimonianza non in quanto espressione di un professore dell’Università, ma poiché il Meneghetti era stato a capo dei partigiani del Veneto.
Spiace infine che Licia non abbia consegnato la tesi di laurea (il cui titolo non è attestato) che Norma aveva appena completato, come da Licia stessa proposto. La Commissione non la richiese poiché non doveva vagliare il percorso accademico, bensì l’impegno in favore della Liberazione. A fine istruttoria la Commissione all’unanimità decise che Norma Cossetto era degna di tale onore.
Ecco perché il suo nome si trova inciso sull’apposita lapide del Bo’ (il cortile dell’Università di Padova) assieme a quello degli altri studenti caduti per la Libertà. A tutti loro è dedicata questa prima parte del mio saggio.
Ricordo che gli interessati possono richiederlo all’editore, al prezzo di 7 Euro, oltre a 1 Euro per spese postali, da versare nel C/C Postale n 26218370 intestato a Opinioni Nuove Notizie.