di Biagio Mannino
Migrare è una caratteristica del genere umano. La storia, però, ci insegna come questo fenomeno sia stato, ed è, ricco di difficoltà e di ogni sorta di problema. Le cause delle migrazioni sono svariate: povertà, siccità, fuga da guerre e persecuzioni, costrizione a lasciare le proprie terre come effetto di particolari decisioni politiche, ma anche conseguenze legate ad accadimenti come terremoti, come cambiamenti climatici, ed anche perché, in determinate aree, c’è richiesta di risorse umane.
Potremmo fare degli elenchi lunghissimi e dividerli per categorie ma, alla fine, il risultato conclusivo è uno solo: andare via.
Se l’atto di partire implica un doloroso passaggio, anche quello dell’arrivare non è dei più semplici. E, come tutte le cose, occorre sempre osservare il tutto da molteplici orizzonti, e, nel nostro caso, sia da quello di chi arriva che da quello di chi ospita.
La storia, come detto, è piena di queste vicende, e molto ci insegna poiché proprio quanto accadde ieri diviene strumento per comprendere oggi ed agire, auspicabilmente, nel modo corretto.
L’attenzione mediatica al fenomeno migratorio contemporaneo si concentra esclusivamente su un unico punto: l’arrivo del migrante.
Non ci si cura delle cause che portano il migrante ad andare via, non ci si cura degli effetti del suo arrivo. Non ci si cura poi di una particolare situazione che mostra nella sua pragmatica efficacia solo due elementi che, se uniti, funzionano in modo sinergico: la politica dell’accoglienza può essere produttiva in stretta collaborazione con la politica dell’integrazione.
Infatti se “accogliere” significa provvedere nell’immediatezza dell’emergenza, altrettanto non si può dire che l'emergenza che stiamo vivendo sia tale. Sono ormai anni che viviamo questo fenomeno e ormai, definirlo “emergenza”, non sembra più essere attuale.
Meglio definirlo come “prassi” e cominciare a lavorare, tutti, europei, per impostare una vera politica di integrazione, anche perché…
Anche perché questo fenomeno, quello migratorio, non sembra poi che non lo si voglia, anzi…
I numeri, a volte, sono molto chiari: la data di riferimento è il 2050. La popolazione mondiale sarà in vertiginoso aumento quasi ovunque e, in particolare, in Africa. Un esempio per tutti: la Nigeria, dagli attuali 150 milioni di abitanti passerà a 500 milioni di abitanti. Inoltre: il paese più popoloso del mondo sarà l’India con 1 miliardo e 700 milioni di abitanti, relegando la Cina al secondo posto con “solo” 1 miliardo e mezzo di abitanti.
Il contesto globale porterà grandi masse di popolazioni a spostarsi anche a causa dei cambiamenti climatici e delle carenze idriche oltre che alimentari.
Dal canto suo, la litigiosa Unione Europea, impegnata più nelle singole politiche degli Stati membri piuttosto che ad una vera politica di insieme, calerà in modo vertiginoso il numero dei suoi abitanti e, ad una popolazione fortemente invecchiata, assocerà una bassa natalità.
L’Italia ha già incominciato, dagli anni ‘90 a unire questi due elementi e, gli effetti, si vedono.
Non è una questione di buoni o cattivi, di destra o sinistra, di ricchi o poveri, ma un’oggettiva trasformazione di una società che non ha più il baricentro in Europa e che, inevitabilmente, deve fare i conti con le proprie responsabilità, del presente e del passato.
Le politiche adottate nel tempo hanno solo rimandato l’effettiva esigenza di affrontare il problema e, politici di ogni colore, in Italia come altrove, si sono curati del momento e non del futuro.
Adesso siamo nel mare Mediterraneo tutti quanti e cerchiamo di non affondare.
Da un lato i migranti con politiche che li costringono ad andare via e l’Europa senza politiche di impostazione di un’intera nuova società figlia dei propri errori.
La Cina, che dal 1997 ha iniziato il suo grande cammino, o meglio, la sua grande corsa, guarda attivamente al domani e già ha incominciato a fronteggiare quell’ipotetico calo demografico che la caratterizzerà nei prossimi decenni.
Se anche quel mondo che definiamo ancora come occidentale, cominciasse a realizzare il proprio ridimensionamento e guardasse ad oriente, a quella Cina contemporanea, come un’esperienza plausibile, forse strategie politiche finalizzate alle generazioni e non agli elettori potrebbero cominciare a vedersi.
Cosa resta invece? Una grande confusione, assenza di idee e strategie, incapacità di vedere come i problemi possano divenire opportunità di sviluppo e modernizzazione di un Continente vecchio in tutti i settori.
E come se non bastasse incomincia a muoversi l’intolleranza.
Una popolazione, quella europea, che non è definibile come “razzista” ma semplicemente in preda ad una depressione sociale di fronte all’incapacità della politica di dare risposte, che sono lì, a portata di mano, a portata di volontà ma che, al contrario si mostra sorda all’urlo del suo popolo, quello europeo.
Ed allora il nemico, come sempre, è l’altro, che impedisce che porta via che annienta e che viene annientato in un gioco già visto, ovunque nel mondo. Tedeschi, Italiani e tutti gli altri non hanno ancora compreso di essere Europei e l’utopica Unione Europea da realtà mancata torna ad essere un sogno e... basta.