ex alunna, istitutrice e vicedirettrice dei collegi per i ragazzi giuliano-dalmati
è deceduta venerdì, 13 gennaio 2017 dopo una lunga malattia
Dalla sua testimonianza su La nuova Voce Giuliana n. 296 d.d. 01.02.2014:
"Nel dicembre 1943 a mio padre fu consigliato-ordinato di lasciare Cherso. Mantovano di nascita, viveva a Cherso da 10 anni, perfettamente integrato nell'ambiente e con buone amicizie nel paese, del quale aveva sposato un'abitante, che gli aveva già dato tre figli mentre un quarto sarebbe nato in terra d'esilio. Mio padre accettò quest'ordine-consiglio e, nei primi giorni del gennaio 1944, a Cherso ci imbarcammo alla volta di Fiume su un barcone.
Iniziava così il nostro esilio!!!
In novembre avevo compiuto otto anni e non mi rendevo conto della tragedia che stava per abbattersi sulla mia famiglia, ma qualcosa di grave, capivo che stava accadendo. Tutto il giorno precedente ero stata attaccata alla nonna materna supplicandola di venire via con noi. Il mattino della partenza, seduta sui gradini all'interno del portone della casa di via San Marco n. 516, non mi volevo muovere ma mia madre, donna spiccia, mi dette una scrollata, mi mise una valigetta in mano e via verso la riva.
Ricordo la traversata Cherso-Fiume come una cosa tremenda perché, non so per quale motivo, a un certo punto della mattinata fummo costretti a stare in coperta. Il mare era agitato, faceva freddo, i miei fratelli più piccoli di me non facevano altro che piagnucolare: eravamo tutti nervosi!
Come Dio volle giungemmo a Fiume. C'era il coprifuoco e fummo accompagnati all'albergo da dei militari (forse tedeschi).
C'era voluta un'intera giornata per arrivare da Cherso a Fiume! Finalmente a posto, pronti per andare a dormire! E invece no, perché mio fratello, per la contentezza, fece un salto sul letto e, oplà! l'abat-jour volò dal comodino e si ruppe. Si possono immaginare le reazioni da parte di mia madre ed io, ancor oggi, pensando all'abbandono di Cherso, pur nella drammaticità di quel giorno, ho in mente l'abat-jour piuttosto che le corse in rifugio dei giorni seguenti sia a Fiume sia a Mestre.
Ci furono altre peripezie e, come il viaggio era iniziato non bene così anche finì. A Mantova mio padre si accorse che era sparita una valigia e, per cercarla, perse la corriera che doveva portarci al suo paese. Solo quando la corriera partì noi ci accorgemmo che lui non era a bordo, ma non ci perdemmo d'animo e arrivammo lo stesso a Bocchere di Castelgoffredo, in provincia di Mantova. La campagna, a perdita d'occhio, era coperta di neve. Fummo accolti dalla nonna paterna e dalla sorella di mio padre: era il 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio abate, protettore del paese.
L'ESILIO ERA REALTA'!
Mio padre aveva lasciato Cherso ed era tornato nella sua terra ma, pochi mesi dopo, verrà ucciso in un conflitto a fuoco con i partigiani, in Piemonte.
Ma questa purtroppo è un'altra storia.
Così cominciò la vita da esule di Luisella. Nel paese del padre, a quanto so, ella frequentò la scuola elementare e la prima media in un paese vicino, per raggiungere il quale doveva percorrere ogni giorno in bicicletta cinque chilometri per andare e cinque per tornare, col freddo, col caldo e con la pioggia e con la neve per cui, dopo un anno, la sua mamma decise di spedirla nel collegio per le bambine profughe che era stato aperto a Roma grazie alla generosità, in particolare, di Marchella Mayer Sinigaglia.
Ecco come ella stessa descrive il suo arrivo e la sua permanenza nella struttura in "Le Case dei giovani profughi" di Carmen Palazzolo Debianchi, Edito dall'Associazione delle Comunità Istriane.
"Era un giorno di novembre del 1948 quando, accompagnata da mia madre, giunsi a Roma per iniziare un nuovo percorso della mia vita. Avevo da poco compiuto 13 anni e portavo dentro di me la tragedia della mia terra e della mia famiglia [...] Eccomi quindi alla Stazione Termini di Roma. Ci accoglie una signora alta, magra, con un abito blu sul cui taschino è ricamata la sigla: C. B. G. (Casa della Bambina Giuliana); accanto un signore che scopro essere autista, uomo tuttofare, ecc. il quale, con una jeep militare, ci porta all'E 42. Finalmente scopro quale sarà la mia residenza per due anni: costruzioni immense rimaste a metà, marmo e vetro dappertutto, strade appena tracciate, gallerie e tanti tanti alberi di magnolie. Su tutto domina l'immenso Palazzo della Civiltà del Lavoro".
"Quante corse e «tombole su e giù per le sue scalinate!
L’E42, acronimo di Esposizione Universale del ’42, doveva in origine essere il luogo dell'Esposizione Universale del 1942, che non si svolse mai a causa della guerra. Essa non doveva consistere solo in una serie di costruzioni temporanee, come generalmente avviene per le esposizioni universali, ma in un sistema di edifici permanenti, infrastrutture urbane, servizi pubblici e aree ver
di, destinato a durare per “l’eternità”. L’idea era di realizzare una nuova Roma, degna capitale d’Italia e del suo glorioso passato, lontana dall’aspetto pittoresco del centro storico, che potesse rivaleggiare con le maggiori capitali europee. A esposizione conclusa, L’E 42 avrebbe dovuto diventare il nucleo centrale dell’espansione di Roma verso il mare.
Con il sopraggiungere della seconda guerra mondiale i cantieri si arrestarono e furono riaperti nel 1951. Ogni traccia del regime passato fu cancellata; le opere interrotte furono portate a termine, furono riparate quelle danneggiate, costruiti nuovi edifici e completate le aree verdi. L’area prese il nome EUR - Esposizione Universale di Roma ed è un quartiere residenziale che, inizialmente isolato dalla città, si è progressivamente saldato ad essa.
Nella Casa della Bambina di Roma Luisella rimane fino al 1950 e vi si trova bene perché "ha un buon carattere e sa adattarsi" – come afferma nella suddetta testimonianza. Lì riscopre le usanze e impara le canzoni tradizionali e popolari delle nostre terre e recupera il dialetto istro-veneto, che aveva un po' perso durante i cinque anni di permanenza nel mantovano, cioè recupera la sua identità chersina, che era una cosa molto curata dalle istitutrici. Da Roma, assieme a un gruppetto di compagne, viene trasferita nel Collegio per le giovinette nobili di Volterra, il cui ambiente formale le fa rimpiangere la libertà e la mancanza di formalità del collegio romano.
Qui consegue l'abilitazione magistrale, dopo la quale va a fare l'istitutrice nella Casa del Bambino Giuliano-dalmata Oscar Sinigaglia, di Merletto di Graglia, nel biellese, diretta da Corinna Escher, la signora alta e magra che l'aveva accolta alla Stazione di Roma qualche anno prima. Dello stesso collegio diventerà poi vicedirettrice. Si tratta dell'unico collegio esistente in Italia per i bambini profughi della scuola elementare di sesso maschile; il femminile corrispondente non esisteva. Dopo la parentesi biellese ritorna all'E 42 e vi rimane fino al 1962, anno in cui finisce la sua collaborazione con l'opera Profughi e comincia la sua carriera come maestra delle scuole elementari statali.
Ma la sua carriera di profuga non finisce in quella data perché fece parte per diversi anni del consiglio direttivo della Comunità Chersina e fu di grande aiuto a me, assieme alle sorelle Escher, quando cominciai a scrivere sui collegi per i ragazzzi profughi perché era gentile e disponibile e aveva una memoria portentosa.
Grazie Luisella. Riposa in pace.
Carmen Palazzolo