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Torturato e ucciso per l'aiuto prestato ai perseguitati dai nazisti durante la II guerra mondiale


Niccolò Cortese nacque il 7 marzo 1907, a Cherso, allora sotto l'impero austro-ungarico.

Entrato nell'ordine dei frati minori conventuali, passò il periodo di noviziato nel convento del Santo di Padova, dove pronunciò i voti e prese il nome di fra’ Placido. Completò gli studi nel collegio serafico internazionale a Roma, dove fu pure ordinato sacerdote nel 1930.

Trascorse i primi anni di sacerdozio a Milano, da dove fu chiamato alla basilica del Santo di Padova. Nel 1937 venne nominato direttore del Messaggero di Sant`Antonio, la famosa rivista antoniana da cui, per sei anni, ebbe modo di manifestare la sua versatilità e il suo impegno scrivendo molti articoli e raddoppiando il numero degli abbonati.

Durante la guerra fu incaricato dal Nunzio apostolico in Italia ad assistere gli ebrei e, dal momento che conosceva bene la lingua croata, i profughi e i prigionieri slavi rinchiusi nel campo di concentramento di Chiesanuova di Padova fornendo loro cibo, vestiario e medicinali.

Dopo il crollo del fascismo la sua opera assistenziale e caritativa si estese - avvalendosi di una rete di collaboratori – anche ai partigiani e ai militari alleati scappati dalle carceri. A un certo punto la sua attività fu però scoperta dagli occupanti tedeschi. I superiori, avvertiti del rischio che fosse arrestato, lo invitarono alla prudenza e gli proposero il trasferimento in un altro convento, che egli rifiutò.

L'8 ottobre 1944, verso le ore 13:30, due individui sconosciuti si presentarono alla portineria del convento chiedendo di parlare con Padre Placido Cortese. Egli, non sospettando nulla, si recò nel chiostro e, conversando con loro, si portò nella piazza dove era appostata un'automobile sulla quale fu subito fatto salire. Non ritornò più al convento!

Constatata la sua scomparsa, il Padre Provinciale Andrea Eccher, dopo ansiose ricerche, venne a sapere che P. Cortese si trovava a Trieste, prigioniero delle SS tedesche.

Allora egli si recò in questa città per cercare di liberarlo, o almeno di incontrarlo, ma inutilmente. Tramite i gerarchi fascisti, il Padre Eccher tentò allora di perorare la causa del prigioniero presso il generale Wolf, responsabile delle SS di Verona, ma gli fu risposto che il P. Cortese era stato mandato in un campo di concentramento in Germania ma, durante il viaggio, vicino a Bolzano, la linea ferroviaria aveva subito un bombardamento durante il quale alcuni prigionieri erano fuggiti e altri erano stati caricati su un camion per destinazione ignota. Fra i prigionieri dispersi figurava pure, secondo il comando tedesco, P. Placido.

In successive ricerche, effettuate dopo la guerra, anche attraverso il Dokumentationszentrum di Simon Wiesenthal, risultò invece che il P. Cortese non era mai entrato in Germania.

La verità sull'eroica fine del P. Cortese si è riusciti a conoscerla solo l'8 giugno 1995, dalla lettera inviata dalla signora Adele Lapanje Dainese di Gorizia al Padre Fulgenzio Campello della Basilica del Santo di Padova, in cui la signora dichiara che durante la sua prigionia nelle carceri del Coroneo di Trieste, nell'autunno del 1944, un giorno fu portata, assieme ad altri, nella sede delle SS tedesche per un interrogatorio. Qui, in attesa del loro turno, lei e altri prigionieri furono condotti in uno scantinato in cui c'erano alcune celle: 3 o 4 gabbiotti corti e stretti con una specie di feritoia sulla parte superiore. Una sua compagna, Maria Lazzari di Padova, si avvicinò alle celle chiedendo il nome alle persone in esse detenute. In una di esse c'era il Padre Placido, che rispondeva con voce flebile e carica di sofferenza alle domande della Lazzari. Disse che veniva sottoposto a torture giornaliere. Si capiva che era molto provato, quasi allo stremo, però non rispose ad alcuna domanda diretta o poco prudente della donna. “Circa una settimana dopo - continua la signora Lapanje nella sua lettera - per mezzo del tam-tam carcerario, fui informata che Padre Cortese era appena morto sotto tortura senza che fossero riusciti a fargli dire il nome dei suoi collaboratori. Doveva essere verso la metà di novembre del 1944.

Non ricordo le date, ma ricordo l'impressione generale per questa morte: un martire o un eroe, a seconda dei punti di vista. Non so che cosa abbiano fatto del corpo: forse fu portato alla Risiera di S. Sabba, tristemente nota a Trieste perché vi si eseguivano le fucilazioni e le cremazioni di prigionieri”.

Già si sospettava che il P. Placido Cortese fosse sparito a Trieste nella tristemente famosa Risiera di S. Sabba, cosa che apparve più certa dopo la testimonianza della signora Lapanje. Alla sua sono seguite molte altre testimonianze, sia civili che religiose, sulla vita e sull'eroica fine del P. Placido Cortese che confermano la sua attività a favore dei bisognosi e dei perseguitati, silenziosa ma coraggiosa perché si svolse in tempi feroci di delazioni e di tradimenti.

Il 29 gennaio 2002 la curia vescovile di Trieste ha avviato il Processo

Canonico Diocesano per la Beatificazione del P. Cortese come martire di carità, che si è concluso il 15 novembre 2003 con una solenne cerimonia all'ex Risiera di S. Sabba di Trieste, unico forno crematorio d'Italia, ora monumento nazionale, e luogo in cui si presume che sia stato cremato il corpo del martire.

 

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