di Carman Palazzolo
Sabato, 18 novembre, sono andata all’incontro annuale degli esuli da Lussinpiccolo e Lussingrande nell’ottava della ricorrenza di S. Martino, patrono della località maggiore, cioè di Lussinpiccolo che, in contrasto col nome, è la località più estesa e popolosa delle due.
La riunione è cominciata, come sempre tutte quelle degli esuli giuliano-dalmati, con la celebrazione della Santa Messa, tenuta dal bravo don Davide Chersicla, qualche anno fa nominato cappellano dell’Associazione delle Comunità Istriane, che da quell’epoca svolge con devozione e competenza il compito affidatogli. Ne ho particolarmente apprezzato l’omelia, centrata sulla parabola dei talenti, che egli ha saputo attualizzare, cosa che, purtroppo, pochi sacerdoti sanno fare: Ognuno di noi – ha detto don Davide - ha ricevuto dei talenti, cioè dei doni, delle doti, delle qualità, una certa intelligenza con libertà di usarle come vogliamo, ma alla fine della vita ci verrà chiesto conto di come abbiamo impiegato i doni ricevuti. Un’interpretazione della parabola potrebbe anche essere: Non abbiamo alcun merito per l’intelligenza ricevuta geneticamente ma dipende da noi come la usiamo.
Ciò che mi ha colpito di più come esule è stata però la presenza di una trentina soltanto di persone, prevalentemente anziane, contro la numerosità dei partecipanti di un tempo.
Certo, anche le associazioni degli esuli sono destinate a finire, come tutte le cose umane. In questo caso ci sono però, a mio avviso, dei motivi che ne stanno accelerando la fine. Uno di questi è indubbiamente il fatto che esse sono state fondate, erano e sono tuttora frequentate dagli esuli ancora viventi, dai pochi loro figli che hanno colto il testimone e da ancor meno simpatizzanti e sono rette sempre dalle stesse persone, appartenenti generalmente alle suddette categorie. E uno dei nodi è indubbiamente quest’ultimo, cioè il protagonismo e il desiderio/smania di potere di essi. È una cosa così piccina che sembra impossibile, non realistica, eppure conosco almeno il caso di una persona che, eletto presidente di una piccola Comunità, ne fu così soddisfatto, che se ne gloriava ad ogni occasione e, pago di tal fama nulla fece però per conservarsela.
Un altro motivo che sta accelerando la fine è la molteplicità delle associazioni fondate fin dall’inizio e la loro persistente resistenza all’unione, che per anni io “predicai”. A codesto scopo sollecitai e realizzai addirittura un incontro di tutti i presidenti delle maggiori associazioni degli esuli alla “Bancarella”, il meraviglioso festival annuale del libro, che l’impareggiabile Rosanna Turcinovich Giuricin organizzò per alcuni anni. Vi parteciparono tutti i presidenti dei vari sodalizi degli esuli meno Massimiliano Lacota, a quel tempo e tuttora presidente dell’Unione degli Istriani di Trieste. Tutti mi diedero ragione: sì, concordarono, è giusto unirsi, ma mai si fece nulla. A dare un’idea del suddetto divisionismo o frazionamento basti pensare che le due isole di Cherso e di Lussino, che nel periodo dell’esodo, e tuttora a quanto so, contavano assieme circa diecimila residenti stabili, avevano ben cinque associazioni di esuli: l’associazione Francesco Patrizio della Comunità chersina, la Comunità di Lussingrande, quella di Lussinpiccolo, quella di Neresine e quella di Ossero, che si riunivano separatamente per festeggiare i santi patroni, ritrovarsi, ed altro, mentre per dare la misura di quanto sta accadendo basta pensare che alla riunione annuale della Comunità di Lussinpiccolo, che si svolgeva sul lago di Garda durava un fine settimana e culminava con la celebrazione la domenica della Santa Messa, l’assemblea generale e il pranzo, a cui partecipavano oltre 100 persone, confluenti con due corriere, più numerose auto private, principalmente da Trieste e Genova, mentre ora persiste a Trieste la Comunità di Lussinpiccolo e una frangia ancora meno numerosa della Comunità di Neresine.
Si potrebbe fare qualcosa per almeno rallentare la fine di quest’associanismo? Perché assieme ad esso non muoia anche la storia del confine orientale, della quale gli esuli sono gelosi conservatori e diffusori. A mio avviso il rimedio è sempre lo stesso: unirsi tutti ad un’associazione già esistente o fondarne una nuova che unisca tutti i nati in Istria, a Fiume, a Zara e i loro discendenti.