di Carmen Palazzolo
Il 25 novembre di questo infausto 2020, rattristato dall’emergenza delle infezioni dal covid-19, si è veramente molto parlato alla televisione e scritto sui giornali della violenza sulle donne anche perché dai dati statistici risulta che il forzato isolamento o semi-isolamento indotto dalla succitata infezione ha aumento le violenze domestiche.
Parlarne e scriverne è giusto e importante ma non basta, oltre alle leggi opportune per contenere e scoraggiare la violenza e proteggere e difendere le donne a rischio o sottoposte ad essa, che purtroppo non sembrano ancora adeguate, ci vuole innanzitutto l’educazione al rispetto dell’altro indipendentemente dal colore della sua pelle, della sua nazionalità o religione e, per rientrare nel tema, il rispetto della donna in famiglia, nella scuola e nella società. Educazione che va fatta innanzitutto nelle famiglie e nelle scuole ed estesa poi a tutta la società. Infatti non sono solamente famiglia e scuola che educano ma lo fa tutta la società contemporanea. Ben lo sanno i genitori che cercano di opporsi a certi andamenti come i tardivi se non nottambuli comportamenti dei figli adolescenti, che risultano immancabilmente perdenti; senza citare altro.
Quanto poi alla violenza, va ricordato che non esiste solamente quella fisica, che è quella che colpisce di più, che è più evidente, e perciò se ne parla più di frequente, ma esistono anche altri tipi di violenza. Per chiarirlo ecco alcuni dati:
Secondo l’Istat, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della propria esistenza una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2% ha subito violenza fisica, il 21% violenza sessuale. Il 5,4%, invece, ha dovuto fare i conti con forme più gravi come lo stupro e il tentato stupro. E qui non si parla della violenza psicologica, più subdola e nascosta di quella fisica, che può però anch’essa penalizzare pesantemente chi la subisce.
Un altro dato importante è dato dal fatto che essa, che è trasversale, cioè può riguardare chiunque, a prescindere dal livello di studi e dal ceto sociale.
Esistono dei precisi segnali della violenza dai quali le donne debbono essere educate a difendersi, come ad esempio i soprusi sul lavoro e/o la disuguaglianza nel trattamento uomo/donna per il semplice fatto di essere una donna; un linguaggio sessista; angherie, offese, minacce, umiliazioni da parte del proprio partner; controllo costante e stalking; generazione di senso di colpa nella donna; isolamento sociale. Ci aggiungerei anche il semplice e apparentemente innocuo linguaggio maleducato, aggressivo e violento, che possono essere il preludio del passaggio alle offese fisiche. Alle ragazze deve essere insegnato di guardarsi dagli uomini che usano questo linguaggio ed a chiudere il rapporto al primo segno di violenza fisica, anche se si tratta di uno schiaffo.
Una certa disuguaglianza nel trattamento uomo/donna ha purtroppo una matrice socio-culturale basata sugli stereotipi di genere, presenti in modo esasperato in certe culture, ma esistenti un po’ ovunque: nelle fiabe, nella pubblicità, nei libri di testo, nel linguaggio stesso, dove è sempre proposta l’idea dell’uomo forte e attivo e della donna debole e passiva.
Occorre che la non violenza diventi un valore e una prassi, cose che solo con l’educazione si possono ottenere. Educazione, oltre che al rispetto dell’altro, all’acquisizione in uomini e donne, fin dalla più tenera età, del senso della parità di genere e alla valorizzazione delle differenze nel linguaggio, nelle espressioni, negli atteggiamenti. Differenze sentite come una ricchezza, non come fondamento di una gerarchia e di possibili discriminazioni.
Quanto propongo non è di facile attuazione e perciò mi riprometto di trattarlo in seguito.