di Carmen Palazzolo
Per celebrare la tormentata storia del popolo ebraico
Venerdì, 29 gennaio 2020, la prof.ssa Silva Bon ha trattato, nella sala beato don Bonifacio dell’Associazione delle Comunità Istriane, il tema
GLI ESODI DEL POPOLO EBRAICO
Dopo la presentazione, la prof.ssa Bon precisa subito che l’esodo del popolo ebraico è più corretto denominarlo “diaspora”, che letteralmente significa “allontanare”, “disseminare” e pertanto descrive meglio della parola “esilio” la dispersione nel mondo del popolo ebraico. Storicamente questa dispersione ebbe inizio dopo la prima guerra giudaica, combattuta tra il 66 e il 70 d. C., tra l’esercito romano, comandato da Tito, e gli Ebrei. Questi infatti non amavano gli invasori romani, le loro tasse e la loro corruzione e perciò si ribellarono al loro governo. Ma l’imperatore Vespasiano prima, e il figlio Tito dopo, schiacciarono con la forza la rivolta e il tempio di Gerusalemme venne saccheggiato e distrutto.
La vittoria di Tito non fermò però le rivolte, che avvennero di nuovo cinquant’anni dopo, sotto l’imperatore Traiano e poi sotto Adriano. Quando, nel 132 dopo Cristo, scoppiò l’ennesima rivolta, la repressione romana fu sanguinosa: 580 mila furono i morti, 50 le città e mille i villaggi distrutti. La Giudea sparì! I sopravvissuto vennero esiliati: una decisione che contribuì a creare il fenomeno della diaspora, cioè la migrazione dalla propria terra.
Ma, pur dispersi e mescolati ad altri popoli, gli ebrei non si sono mai integrati coi popoli in mezzo ai quali vivevano e vivono conservando la loro religione e le loro consuetudini. Quasi a rimarcare la distinzione da essi stessi voluta, essi furono per secoli relegati in spazi solo ad essi riservati, denominati “ghetti”, costretti ad indossare indumenti che li distinguessero e a praticare solo determinati mestieri mentre altri erano loro preclusi.
Molto importante per la regolazione della vita del popolo ebraico residente nel mondo islamico è l’editto di Omar (638).Esso ha origine dall’assedio di Gerusalemme da parte delle truppe islamiche, quando i Gerosolimitani (gli abitanti di Gerusalemme), più volte battuti dai corpi islamici, perduta ogni speranza di intervento dell'esercito imperiale bizantino, deliberarono di arrendersi. Essi, però, chiesero di consegnare le chiavi della città personalmente al Califfo Omar ibn al-Khaṭṭāb. Questi, che si trovava a Medina, la capitale dello Stato islamocratico, ricevuta la richiesta, partì immediatamente e, giunto alla Città Santa, fece redigere il seguente documento:
"Nel nome di Allàh … Omar ibn al-Khaṭṭāb, per sé e per i suoi successori, per tutti i musulmani, dichiara: È garantito agli abitanti di Gerusalemme: che saranno rispettati la loro vita e i loro beni; che le loro chiese e le loro croci non saranno toccate; che questo trattato si applica a tutti gli abitanti di questa Città; che i luoghi di culto resteranno intatti come sono e non saranno né occupati né demoliti; che la gente sarà libera di seguire la sua religione; che non ci saranno molestie…". Essi costituirono così i “Dhimmi”, parola che letteralmente significa "persona protetta", in quanto si riferisce all'obbligo del capo alla sharia (la legge sacra islamica) di proteggere la vita, la proprietà e la libertà di religione dell'individuo, in cambio della sua lealtà allo Stato e del pagamento delle tasse dovute. I Dhimmis erano esenti da determinati doveri assegnati specificamente ai Musulmani ma non godevano di determinati privilegi e libertà riservati ai Musulmani, erano però uguali ad essi in base alle leggi sulla proprietà, sul contratto e sull'obbligo.
Diversamente importante dall’editto di Omar è l’Editto di Granada, conosciuto anche come Decreto dell’Alhambra, emanato dai re cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona il 31 marzo 1492. Esso rendeva obbligatoria la conversione della comunità ebraica al cattolicesimo pena l’espulsione dalle terre del regno di Spagna e dai loro possedimenti. Gli ebrei della penisola iberica, detti sefarditi, che non aderirono alla conversione si spostarono soprattutto nei vicini Marocco e Algeria e nella penisola balcanica, in misura minore verso la Tunisia, l’Impero Ottomano e nel meridione dell’Europa come Provenza, Sicilia e penisola italica. Famose per la loro emancipazione erano le donne ebree residenti in Balcania. Gli ebrei sefarditi che rimasero nella penisola iberica, e che si convertirono, sia per timore della persecuzione dell’Inquisizione spagnola sia per libera scelta, vennero chiamati marrani.
A Trieste alcune famiglie ebree si stanziarono fin dal 1200, ma si trattava di poche persone, che vivevano prestando denaro, cosa che i cristiani non potevano fare e che gli ebrei erano praticamente costretti a praticare per ragioni di sopravvivenza perché molti mestieri erano loro preclusi. A partire dal 1719, con l’avvento del Porto Franco, a Trieste immigrò una quantità di persone, anche da Corfù, dallo Stato Pontificio e dalla Penisola Iberica. Nella città si costituì così una comunità numerosa, fiorente e stimata di ebrei, che raggiunse 5.600/7.000 unità, che espresse pure un podestà, Enrico Paolo Salem, che amministrò Trieste dall'ottobre 1933 alla fine dell’agosto 1938, quando si dimise a causa della proclamazione delle leggi razziali. Egli fu un podestà illuminato, a cui si devono molte migliorie come il rinnovamento urbanistico del centro storico, con conseguente demolizione di gran parte della Città Vecchia, la costruzione della Tripperia e del Frigorifero per le carni, del Mercato all'Ingrosso e al minuto per frutta e verdura, di un nuovo bagno popolare, di case per i senzatetto.
Ma già ferveva nell’immenso impero austro-ungarico e altrove il vento del nazionalismo. Oltre a quelli italiani e sloveni, si costituì pure un nazionalismo ebraico, il sionismo, inteso a ricostituire in Palestina uno Stato che offrisse agli Ebrei dispersi nel mondo una patria comune. Il suo insorgere fu favorito anche dall'inasprirsi dell'antisemitismo, particolarmente in Germania e in Austria, che indusse molti Ebrei a fuggire per rifugiarsi nella loro terra d’origine, che nel 1948 fu costituita a Stato d’Israele. Il passaggio obbligato dei fuggiaschi fu il porto di Trieste e, in misura minore, quello di Fiume, da cui partivano le navi per raggiungere la loro meta.
Mentre la prof.ssa Bon espone queste informazioni a un pubblico attento e partecipe, alle sue spalle scorrono le immagine che le illustrano, tratte dall’archivio fotografico Alinari di Firenze.