di Anna Piccioni
C'è un romanziere triestino che è conosciuto dagli appassionati di videogames di tutto il mondo. Non è James Joyce. E non è neanche Italo Svevo. Si tratta invece di Vladimir Bartol, grande scrittore di lingua slovena, autore del romanzo Alamut, tradotto in una quindicina di lingue e per altro fonte di ispirazione, appunto, per una delle più fortunate serie di videogames, intitolata Assassin's Creed (Il credo degli assassini). L’affascinante vicenda della setta degli «assassini» e del loro carismatico capo Hasan i' Sabba, il «veglio della montagna», prima di attirare l'attenzione degli sceneggiatori di videogiochi, ha catturato fra gli altri quella di intellettuali come Marco Polo e Dante Alighieri.
“Egli avea fatto fare tra due montagne in una valle lo più bello giardino e l’più grande del mondo; quivi avea tutti frutti e li più belli palagi del mondo”
Così Marco Polo comincia la descrizione di una fortezza, un giardino, un’oasi artificiale nel deserto iraniano, in una provincia chiamata Milice, dove “il Veglio della montagna soleva dimorare anticamente”. Secondo le informazioni raccolte dal veneziano, il Veglio chiamato Ḥasan-i Ṣabbā creò in questo luogo un eden di rara meraviglia, ove convogliò numerose specie animali e opere d’arte. Fatto a immagine del paradiso maomettano, non scarseggiavano latte, vino e mele, di cui i più bei giovani e le più belle fanciulle del mondo, tra canti e balli, potevano nutrirsi in abbondanza. Questi in tal modo si convincevano di essere in Paradiso. ”Quando lo Veglio ne facea mettere nel giardino a 4, a 10, a 20, egli gli facea dare oppio a bere, e quelli dormía bene 3 dí; e faceali portare nel giardino e là entro gli facea isvegliare. Quando li giovani si svegliavano e si trovavano là entro e vedeano tutte queste cose, veramente credeano essere in paradiso. “ da “Il Milione” – cap. 40 e segg.
Nella raccolta di Sonetti intitolata “Il fiore” attribuita a un giovane Dante Alighieri nel sonetto II vv 4-11 “l'Amante e l'Amore” fedeltà che Dante professa verso il Dio d’Amor è la stessa che il membro della setta degli Assassini offre al suo (tirannico e misterioso) padrone, il Veglio della Montagna.
“Lo Dio d’Amor sì venne a me presente,
E dissemi: “Tu ssaï veramente
Che tu mi se’ intra le man caduto
Per le saette di ch’i’ t’ò feruto,
Sì ch’e’ convien che tu mi sie ubidente”.
Ed i’ risposi: “I’ sì son tutto presto
Di farvi pura e fina fedeltate,
Più ch’assessino a Veglio o a Dio il Presto”
Ma al di là delle affascinanti leggende di fanatismo e perversioni «orientali», misticismo e droghe, qual è la verità storica nella vicenda degli ismaeliti, la setta sciita al cui interno si è sviluppata la vicenda di Hasan, della rocca di Alamut e dei suoi fedayn micidiali e pronti al martirio? L'unica verità è che nulla è vero tutto è permesso.
A mio parere molte sono le ragioni per leggere il romanzo di Bartol pubblicato a Lubijana nel 1938. Prima di tutto perché è avvincente, e in secondo luogo perché fa riflettere molto sul potere di condizionare le menti umane; sono sufficienti queste poche righe di un lungo discorso che troviamo quasi alla fine del romanzo, in cui il capo Hasan spiega a Ibn Tahir, quasi a concessione di un'ultima grazia, la forza del suo progetto.
“Credi forse che la maggioranza degli uomini chieda la verità? Ma niente affatto! Chiedono
tranquillità e favole per la loro famelica fantasia. Sono ansiosi di giustizia? Se ne infischiano
completamente, purché tu favorisca i loro interessi personali.[..]. Se l'umanità è fatta così, allora sfruttane le debolezze in modo da conseguire il tuo alto scopo, che potrebbe riuscire utile ad essa stessa anche se non lo capisce. Mi rivolsi all'ignoranza e alla credulità degli uomini. Alla loro avidità di piaceri, ai loro desideri egoistici. Mi si spalancarono subito tutte le porte […] Adesso le folle mi corrono dietro [...] devo andare avanti.” Quanto sono attuali queste parole!
ALAMUT
di Vladimir Bartol
nato nel quartiere di San Giovanni, a Trieste, nel 1903 e morto a Lubiana, il 12 settembre del 1967