Recensione di Silva Bon
Un altro libro che ha come centro di analisi, di riflessione e di proposta, in un confronto di testi e di letture possibili, Trieste - città di carta, o meglio, come recita il titolo, Trieste - frontiera letteraria.
La città giuliana è affascinante: la sua immagine seduce, incanta, ma ad uno sguardo più attento, più profondo, ecco che l’immagine va, come per miracolo, a rompersi, frantumarsi, scomporsi, rifrangersi nei mille pezzi di un mosaico composito, nelle mille luci di un caleidoscopio frastagliato.
Sono le molte anime che vivono la città, la popolano e la interpretano, esprimendo proprie, diverse identità. Scrive Katia Pizzi:
“Nessun’altra città in Italia ha frequentato con tale appassionata assiduità un novero talmente eterogeneo di culture extra-nazionali nel corso del Novecento. In nessun’altra città italiana l’identità culturale ha sperimentato sul proprio corpo sociale la vertigine del balletto delle frontiere geopolitiche. Ambiente vissuto nel quale la riflessione individuale è matrice di identità personale. Trieste ha generato una letteratura che, in misura maggiore che altrove, ha incarnato e veicolato affermazione e diffusione identitaria, talvolta arroccandosi sulle categorie chiave di triestinità, italianità e identità di confine, ma, in tempi recenti, aprendosi alla traduzione e alla traslazione culturale e memoriale rispetto a comunità altre, sia indigene che di più recente accoglimento.”
E certamente risulta assai interessante questo quadro critico, tracciato da lassù, quasi un altrove, se pensiamo allo sguardo capovolto sull’Europa e l’Italia, che gettano i britannici, volgendo la carta geografica e posizionandola dal loro punto di osservazione insulare: dall’Università di Londra, dove l’Autrice lavora da molti anni in qualità di Professore Associato presso l’Institute of Modern Languages Research. School of Advanced Study; e dove dirige un Centro di Ricerca per gli Studi sulla Memoria Culturale.
Per cui risultano extra-vaganti anche i riferimenti scientifici di rimando, che quasi tutti si agganciano alla letteratura del mondo anglosassone, inglese, americano, canadese, date le frequentazioni culturali, i contatti interpersonali, le pubblicazioni editoriali della Autrice Katia Pizzi, che in questo saggio lavora su una collaudata esperienza di studi e opere licenziate fin dal 2001, 2007, 2011, 2016, sempre incentrate sulla identità, oppure anche l’identità di Trieste.
Il denso saggio introduttivo, rapido e intenso insieme, nella composizione di una ventina di pagine, coniuga letteratura e storia, in una indissolubile commistione: qui la realtà contingente di traumi di conflitti epocali; contrapposte memorie personali e familiari; oscillazioni di un confine ondivago, conteso dal/col sangue; esperienza geopolitica di chiusure e inaspettate aperture a mondi contigui e altri; si riverberano e si incarnano metaforicamente nell’idealità delle scritture letterarie. Sono brani antologizzati sia in prosa che in poesia, scelti a illustrare il percorso intellettuale, soggettivo dell’Autrice a conferma del suo metro interpretativo e della sua visione della città giuliana.
Ancora una volta, ribadisco, uno sguardo altro, giovane e slegato da provincialismi autoreferenziali.
Perciò ha pienamente senso, anzi acquista la dignità di una lettura dinamica, un passaggio dovuto e necessario, anche una curiosa anticipazione: si tratta cioè della Cronologia ragionata su un secolo di vita politica, sociale, economica, culturale triestina, che prende in esame gli avvenimenti salienti in un arco temporale che va dal 1910 al 2010. La rapida carrellata risulta assai interessante, agile e leggibile; in essa sono evidenziati i fatti memorabili che rispondono all’orientamento dell’Autrice, offrono il destro a interpretazioni, considerazioni, riflessioni, opinioni che nascono dal non detto esplicitamente, ma solo da ciò che è proposto, suggerito, e perciò diventa stimolante e creativo; e non mancano le sorprese, le note curiose, i richiami speciali, che fanno ripensare in termini nuovi, altri, alla storia della città.
Ciononostante, e risulta logicamente evidente - il centro del lavoro critico di Katia Pizzi sta nella sua riflessione letteraria, che si avvale della proposta antologizzata di pagine esemplari di Autori che sanno e parlano di Trieste, su Trieste; che vivono, incarnano l’anima e le diverse problematicità e identità della città. Soprattutto l’italianità, la triestinità, il male di frontiera. Sono, in ordine di progressione: Scipio Slataper, James Joyce, Italo Svevo, Srecko Kosovel, Enrico Morovich, Giani Stuparich, Pier Antonio Quarantotti Gambini, France Bevk, Franco Vegliani, Boris Pahor, Biagio Marin, Marisa Madieri, Roberto Dedenaro, Fulvio Tomizza, Nelida Milani, Fabio Doplicher, Paolo Rumiz, Giuseppe O. Longo, Fulvio Tomizza, Claudio Magris, Mauro Covacich, Lily-Amber Laila Wadia, Gabriella Musetti.
Un saggio che propongo e si propone con autorevolezza e competenza al confronto critico non solo con/per i lettori giuliani, ma soprattutto per i lettori italiani o stranieri, acculturati o ignari di storia e letteratura locale. Di tutti quelli che oggi vogliono scoprire, e vanno alla scoperta per traiettorie ascensionali della meta-spazialità urbana e paesistica di Trieste costruita tra alture, abissi carsici e mare.
Katia Pizzi, Trieste. Una frontiera letteraria, Vita Activa, Trieste 2019, pp. 175.