di Isabella Flego
Nei primi mesi di quest’anno l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, con il contributo del Circolo di Cultura istro-veneta Istria e della Regione Friuli Venezia Giulia, ha pubblicato il libro “Guido Miglia-Rivivere l’Istria” della storica triestina Silva Bon.
Il libro si articola in dieci capitoli, con la Premessa di Livio Dorigo, la Prefazione di Ezio Giuricin e una conclusione dell’autrice. Ogni capitolo tratta le vicende pubbliche e personali di Miglia che si intrecciano con la sua vita in rapporto con la sua opera. Esse si snodano dagli anni quaranta al 2009, l’anno in cui Miglia muore.
È una ricerca d’archivio, (Archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia, Trieste) del Fondo Miglia, il magnifico teatro della memoria, che oltre a conservare il cammino delle opere del personaggio, offre pure un suo ricco carteggio. L’autrice l’ha sfogliato con delicatezza, quasi a volerlo accarezzare, mentre in un religioso silenzio, leggendo e rileggendo lasciava parlare i documenti alla sua curiosità e sensibilità di storica attenta e precisa. Scopre certi aspetti che le permettono di conosce meglio la persona, il suo <percorso drammatico negli anni 1945-1949>, quando la corrispondenza veniva censurata e l’amico De Berti rispondeva <all’accorato dolore di Miglia>: “…moralmente sento la vergogna che i portatori di libertà ci trattino come servi e schiavi.” Ma scopre pure come analizzare e interpretare a fondo l’opera dell’autore.
Attraverso le lettere, veri incontri con amici sinceri, quali Biagio Marin, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Diego de Castro, Fulvio Tomizza, Bernardi, Antonio de Berti, Silvio Delbello, Ive Mihovilovic, Livio Zeno, Joze Pirjevec, Giorgio Depangher, Alessandro Damiani e altri, scopre che Miglia ha tessuto nel tempo un dialogo, un discorso sostanziale di stima e di affetto, anche attraverso percorsi dolorosi, lungo i quali si snoda l’articolato mondo dei sentimenti. Ma nel contempo esse sono la preziosa fonte, grazie alla quale l’autrice ha messo a fuoco la questione dell’Istria prima e dopo l’esodo degli istriani.
In Miglia c’è, e l’autrice è esplicita, il pensiero profondo che si fa gesto e intenzione e raggiunge vette, perché nel giardino della sua vita non ha piantato il piedistallo della vanità.
Già nei suoi primi scritti, ben sorvegliati dalla penna, anche se nati in presenza di un mondo meschino e purtroppo di odio fomentato da politici irresponsabili, lo distinguono l’oculata scelta degli argomenti, le giuste parole e la freschezza delle immagini, anche quando si riferiscono alla realtà intima e delicata, necessaria a spiegare e a documentare il dolore e la tragedia di un abbandono:
“Un vecchio, prima di salire sulla nave, si inchinò fino a terra e la baciò, poi si mise sulla poppa e io vidi la sua schiena che sussultava in un tremito convulso. Guardai ancora una volta la splendida banchina della mia riva, l’Arena e il palazzo dell’Ammiragliato, il ponte di Scoglio Olivi, le piccole case sulla mia collina, e scesi sotto coperta a fissare intontito la mia valigia.” (Bon pp. 22, 23).
È una presenza affettuosa, Miglia, quasi protettrice, un grande istriano le cui <parole, le struggenti espressioni di dolore” potrebbero “essere condivise da altri tremila polesani> (Bon p. 23), vittime di un’ingiusta causa che, per mancanza di libertà hanno portato il proprio letto oltre confine, in altre terre, e la terra natale nello zaino, ma sono rimasti ugualmente attaccati alle radici, come la terra rossa e bagnata dell’Istria rimane appiccicata alle scarpe.
Ogni perdita sembra ingiusta e più o meno tutti ci chiediamo: -Perché proprio a me? - Ma quando quella riguarda interi paesi, cittadine e città e i rispettivi numerosi abitanti, le domande sono tante, ricche pure di esplicite assonanze con il nostro tempo. Il suo non è un rimpianto per le stagioni di vita perduta. Bensì il richiamo di un ambiente a cui vuole legarsi sempre di più. Di esso vuole esplorare ogni aspetto, da quello intimo dei sentimenti a quello della gente e della natura, che insieme abbracciano spazi storici e geografici.
Grazie alla ricerca di Silva Bon, non solo si rafforza la figura dell’autore, ma lo si qualifica quale precursore coraggioso per le tematiche trattate, volte alla ricostruzione di un tessuto collettivo e alla salvaguardia dell’identità attraverso “la ricerca di un dialogo fra chi è andato via e chi è rimasto…con la volontà di guardare con gli occhi di oggi…” Senza la retorica nazionalistica, tipica di certi ambienti, percorre i sentieri delle sue radici e quelle del popolo italiano dell’Istria, esodato e rimasto che, in ambo i casi, deve confrontarsi con nuove ideologie. La Bon ce lo consegna pensatore, osservatore curioso e capace, con un forte senso di responsabilità generazionale e impegno umano, di sfidare con la penna i luoghi comuni e i pregiudizi.
Umile professore, con un perenne desiderio di cambiare e migliorare le cose, si rivolge ai suoi studenti e cittadini, per informare e portare a conoscenza la verità sull’Istria, le sue tragedie, la realtà dei fatti vissuta in prima persona, senza nulla deformare: “Educare al concreto e non all’astratto, valutare un uomo non per il titolo di studio che possiede, ma per quello che sa fare per la società” (Bon p.67). Sapeva che le sue riflessioni e il suo punto di vista non portavano alla condivisione in quegli ambienti che non volevano e non vedevano alcuna possibilità di un dibattito <vivo e vero> alla ricerca della giusta direzione da dare alla vicenda dell’esodo, dentro la Storia che inesorabile faceva il suo corso. Ciononostante cercava, col suo realismo pratico, di parlare col cuore e con la mente, pure attraverso vari articoli su quotidiani e riviste, sia agli istriani dell’esodo sia ai propri allievi, cercando di stimolarli alla riflessione, alla ricerca di idee volte al futuro di relazioni e cultura, per frangere quelle onde di impulsi negativi che giravano attorno alla Storia dell’Istria e dell’esodo e per unire le generazioni.
Il suo turbamento, frutto di una triste sorte, era profondo e racchiudeva in sé abnegazione, rinunce, acquiescenza sotto l’impietosa nuova politica nell’Istria veneta, croata e slovena, ma lo spirito della cultura e la profondità di pensiero rimanevano pur sempre legati al paesaggio in cui si erano sviluppati, in un mondo pluriculturale, amato, che fa tutt’uno con l’amore per la sua terra, per il passato, per il valore profondo della storia che ha creato un’immensa cultura, vibrante da secoli anche dai “muri” importanti delle cittadine istriane.
Il tempo, inesorabilmente, passa e per assaporare come si dovrebbe l’amore per la propria terra e le sue genti, occorre ritornare col cuore e con sentimento e il nostro ritorna in Istria. A Pola: <…ogni volta è un rivivere sentimenti agro/dolci, dolci/amari, che gli fanno sentire, da un lato la gioia nel rivedere l’incanto della propria città e delle vestigia venete e latine, dall’altro vivere tutta l’amarezza per una ingiusta perdita.> (Bon pp. 39,40). Celebra i sentimenti con una lingua priva di veleni, per creare un’ <atmosfera della narrazione intensa> anche quando si trattano momenti di dure realtà, imposte dalle varie forme di distacco e di lontananza:
“Oggi…ho voluto salutare un mio vecchio amico pescatore, che riposa nel cimitero di Orsera: Toni Grega…la morte lo ha colto sul mare, sulla sua povera batana. Il suo tumulo è piccolo, la terra rossa è ancora tenera sopra di lui, come un buon pane lievitato…”
Tanti sono gli incontri istriani, di Guido Miglia uomo, nelle cittadine di mare. Qui, l’amicizia della gente semplice nasce spontanea; le persone si incontrano e tra una chiacchera e scambio di pensieri nasce pure la solidarietà. Questa dimensione paesana che sa coltivare sentimenti profondi di condivisione gli fa quasi quasi dimenticare la rottura vissuta con l’esodo. Miglia assapora in ogni cosa non ciò che essa è, ma le sensazioni, i pensieri, le idee e i sogni che essa genera. Tra gli umili trova la veridicità delle sue radici e la conferma che il dolore è uguale dall’una e dall’altra parte del confine, come lo è la dignità.
La memoria non sempre è confortante, essa rivela la caducità del tempo e le contraddizioni che Miglia nota nella realtà della società, da una e dall’altra parte del confine. Tocca con mano la supremazia croata in Istria, ma accanto ai suoi amici pescatori fortifica i sentimenti verso la sua terra e intravvede un cammino da percorrere sulla via della conciliazione, per sé e per gli altri che lui metteva nei suoi scritti. Ecco perché nelle sue pagine non ci sono solo le parole, c’è in esse una grande modernità nel concepire il peso della Storia e le necessità sociali. Esse esprimono pensieri e sensazioni e sono strettamente legate al carattere del suo popolo, all’essenza delle cose per costruire una realtà nuova, smussando certe vecchie forme, ma mantenendo gli usi e i costumi.
Vedere e sentire e non essere fuori. Vivere legato alle origini con forti radici, avendo coscienza del mondo in continua trasformazione e al presente. Ecco ciò che l’autrice fa trasparire da alcune lettere che sono veri e propri piccoli saggi di pareri e consigli, di elogi e critica e di giudizi sulla scrittura del nostro, come in questo caso per “Bozzetti istriani” da parte di Pier Antonio Quarantotti Gambini:
“Questo libro mi ha consolato e mi ha straziato, riportandomi le immagini, gli aromi, l’atmosfera e il particolare, antichissimo tono vitale della nostra Istria.” (Bon p. 50).
E di Biagio Marin:
È “pieno di vita e di cose vive, di illuminazioni e di indicazioni…In tutto il libro però si incontra una parola di incerto significato: istriano…consapevolmente gli ha dato un valore ambiguo, sempre incerto. La lotta era tra slavi e italiani: gli slavi ci hanno potuto far fuggire dopo pochi anni dell’annessione dell’Istria all’Italia. Perché?” (Bon p.55).
Dal proseguo della lettera si capisce il suo valore e giustamente, scrive l’autrice, è implicita la domanda: <Perché siete andati via? Non era meglio che gli italiani restassero in Istria?>
Saranno i suoi interlocutori, gli intellettuali e politici, i personaggi della letteratura, maestri di molti, anche di coloro che non li citano esplicitamente, ad aiutarlo a superare le critiche e i giudizi ingenerosi, a sottolineare la sua grandezza e umanità, la lungimiranza e la capacità di superare, tra le costrizioni del reale, la nevrosi dell’esule per uscire dal dramma dell’esodo, pur trattandolo come tale. Aveva presente che il dovere della memoria può anche essere distruttivo: il dovere deve essere quello del riconoscimento dell’altro.
Gli scrive Biagio Marin nel 1973 in seguito all’uscita dell’opera “Dentro l’Istria. Diario 1945-1947”, <oggetto di forti attacchi e polemiche all’interno del mondo istriano, esule a Trieste.>
“…eravamo chiusi alla comprensione degli slavi…la nostra superiorità culturale ci aveva resi ciechi, sordi, disumani. E abbiamo pagato in proporzione…Nessun ideale sociale, nessuna prassi di giustizia elimina le diversità nazionali.” (Bon p.82).
Miglia soffre: “Per questi ambienti io sono un <<misto>>, un italiano tiepido, che guarda con simpatia verso gli slavi…” (Bon p.83).
Pure Diego De castro lo consola:
“Vi è, in noi, quello che gli altri non hanno: l’immenso, profondo, inestinguibile amore per la nostra terra ed il prepotente desiderio di ritornare all’infanzia.” (Bon p.85).
E dopo i cambiamenti nella ex Jugoslavia il dibattito politico si fa acceso e Miglia spera, spera per tutti:
“Per gli italiani istro-quarnerini è assolutamente necessaria l’unità nelle mete da raggiungere insieme…vincere quel provincialismo che li ha attardati spesso nelle svolte della storia…” (Bon p.107). E l’Istria risorgerà anche con due confini, perché L’Istria è una quercia.
L’identità di Miglia e dei suoi interlocutori è quella registrata all’anagrafe, fondamentale segno di appartenenza ad una comunità e sua realtà, possibilmente senza giochi di maschere. Quell’identità che andava rafforzandosi man mano che gli amici si scambiavano intensi pensieri.
La storica Silva Bon, nella sua opera illuminante, di cui consiglio vivamente la lettura, ci consegna un intellettuale erede della cultura della convivenza pacifica, che guarda la patria e i confini e vuole andare oltre, con la speranza di superare i limiti esistenti. Una persona che non vuole sporcare i suoi ideali con il sospetto e la calunnia; inequivocabile nei gesti a sostegno delle proprie radici e opinioni. Trasparente nello scrivere, per abbattere muri del silenzio e della separazione e trarre insegnamento da ciò che la storia ha lasciato.
L’uomo che vedeva già l’Europa rivegetare con l’inclusione di nuove nazioni; guardava all’Istria, anche se con pesanti contraddizioni, come ad una regione capace di avanzare e di rifuggire antichi rancori.
Capodistria, luglio 2018