Pochi giorni fa, il 16 giugno 2017, nella bella, ampia Sala dell'Unione degli Istriani a Trieste, è stata presentata l'ultima fatica di don Vincenzo Mercante: un libro che parla di Girolamo Gravisi, nobile marchese di Capodistria, illustre discendente del casato dei de Gravisi, intellettuale illuminista, amico di Gian Rinaldo Carli e delle personalità più eminenti del Settecento, secolo che Girolamo Gravisi, nella sua lunga vita, ha attraversato tutto, per morire quasi centenario nel 1812.
Il libro del professor Mercante non illustra solamente la biografia del protagonista, Girolamo Gravisi, ma contestualizza la storia di tutta la famiglia Gravisi, inserendola nella storia dell'Istria legata a Venezia, alla Serenissima, nel quadro dei giochi politici europei; essi coinvolgono, vedendoli attori forti, l'Austria, i Turchi, e anche gli Uscocchi, i pirati di Segna, dalle posizioni ambigue, contrassegnate dal ruolo utilitaristico che possono ricoprire schierandosi ora con l'uno, ora con l'altro dei soggetti attivi.
La presentazione del libro è stata introdotta dall'avv. Piero Sardos Albertini, presidente della Fameia Capodistriana, e dalla professoressa Silva Bon, alla presenza dell'Autore e di un folto pubblico, che ha partecipato attivamente, dando segnali evidenti di attenzione ed empatia, intervenendo anche nella discussione, portando contributi concettuali importanti.
Così è stata illustrata la storia araldica e grafica degli stemmi, in primis quelli dei de Gravisi, che arricchiscono il libro con disegni filologicamente perfetti, chiari, piacevoli e interessanti delle figure dei draghi rampanti, che campeggiano su scudi sagomati, diversi in epoche storiche diverse.
Ed è stata avviata da un professore di un Liceo triestino, collega di don Vincenzo Mercante, una vivace discussione sul lavoro dello storico, sull'impegno dello storico che si rinnova ed innova ad ogni generazione.
Il professore intervenuto ha sottolineato l'onestà intellettuale dell'Autore nello scrivere storia in modo corretto ed esemplare per la sua obiettività, al di là delle possibili revisioni, che pure sono percorse da molti altri autori di libri di storia.
Personalmente sono intervenuta nel dibattito che ne è scaturito, sostenendo che lo storico integrale ha il compito non solo di raccontare, descrivere gli avvenimenti storici, gli accadimenti notevoli, ma anche di offrire un'interpretazione, una lettura ragionata di quei fatti.
L'interpretazione è sempre soggettiva, a mio avviso, legata anche al contesto culturale, sociale, politico, economico, in cui opera lo storico. Il susseguirsi di interpretazioni storiche che “riformano” le interpretazioni precedenti, di momenti o epoche precedenti, è quasi scontato. Anche chi scrive una nuda cronologia di fatti rilevanti, nella compilazione sceglie, e deve per forza farlo, gli oggetti da evidenziare; nel momento stesso in cui tralascia alcuni accadimenti, annota altri, fa un lavoro interpretativo, che dipende dalle sue convinzioni politiche, morali, sociali, soggettive.
Credo che l'oggettività storica sia una ricerca giusta, corretta, ma vana, anche se risponde al bisogno di Verità, di cui tutti gli esseri umani sono alla ricerca come di una fonte di appagamento della conoscenza che dà certezze e sicurezza interiori.
Forse, piuttosto che di una Verità forte, con la V maiuscola appunto, dovremmo accontentarci e far propria una verità debole, con la v minuscola. E' la verità che siamo in grado di appurare, di far nostra, alla luce delle conoscenze che sono sempre precarie, imperfette, incompiute. Un verità che incarna i limiti umani, le debolezze, intellettuali e non, di cui tutti siamo impastati.
A mio avviso è importante l'onestà dello storico rispetto al proprio lavoro, che esige evidentemente un impegno deontologico, una scala di regole e di valori, che vanno ottemperati. Non tralasciare le conoscenze di cui viene in possesso, vagliare le fonti di informazione, agire con intelligenza critica e vigile, rispondere il più possibile alla richiesta di Verità che viene avanzata.
Le domande di sapere, di conoscere il passato, quel passato da cui è scaturito il nostro complesso presente, sono pressanti, esigenti, totalmente comprensibili, ma a mio avviso lo storico può dare risposte limitate ai propri vissuti, a una verità, che certamente dopo di lui, sarà contestata, rivista, rivisitata, revisionata, se non in maniera totale, comunque con moduli, pratiche, conoscenze che modificheranno ogni certezza assoluta.
Silva Bon