Intervento di Silva Bon
Superare le barriere: nuove prospettive di collaborazione tra andati e rimasti
Superare le barriere: ecco un obiettivo che dovremmo, in uno sforzo comune, collettivo, rendere condiviso, comunitario.
Parlo soprattutto di barriere mentali, di muri resistenti, incrostati di preclusioni, di pregiudizi, di conflitti ideologici, tra parti contrapposte, che giungono perfino al livello di sanguinosi conflitti interpersonali: essi continuano a pervadere in una memoria ostile, onnipresente, invasiva, distruttiva di un passato drammatico, lontano ma evidentemente ancora attuale.
Molto si è fatto negli ultimi anni, questo sforzo non va negato o sottaciuto, per costruire, per rafforzare rapporti di amicizia, di collaborazione, di sostegno tra gli Italiani dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia, di entrambe le sponde dell’Adriatico Orientale, tra gli andati e i rimasti.
Gli andati hanno vissuto il dramma dell’Esodo, l’esperienza dell’abbandono, della perdita, della deprivazione di tutto ciò che è più sacro e costituisce il fondamento della vita individuale, familiare, sociale. Hanno affrontato un destino ignoto, a tratti perfino assai ostile, di inserimento in contesti lontani, diversi anche per lingua oltre che per cultura di vita. Dai campi profughi all’emigrazione, il cammino amaro dell’esule è tutto enucleato nell’esperienza dello straniamento, nella necessità di attraversare, di accettare, di superare il trauma della contingenza, della realtà ineluttabile. Il ricordo, la memoria cara e affluente, sono stati ragione di vita per almeno una generazione di esuli. Molti non si sono mai veramente staccati dalle esperienze della vita pregressa, dai luoghi, dai paesi e dalle città, almeno dal punto di vista psicologico e sentimentale. L’inserimento in nuove realtà è stato durissimo.
I rimasti hanno sofferto in modo speculare conflitti, provocazioni, perdita di libertà. Sono dovuti rimanere nelle loro case, non tutti per una scelta consapevolmente agita in base a convinzioni politiche, non sempre per una scelta volontaria: ma spesso per una necessità, per un’imposizione dettata da occasioni fattuali, anche da spinte obbligate dal regime vigente nella Repubblica Federativa Socialista di Tito. Sono diventati minoranza linguistica, culturale, nazionale e da una posizione di sudditanza civile e politica si sono emancipati lentamente, a fatica, all’interno di un contesto territoriale, statale e istituzionale che ha visto momenti drammatici di evoluzione nel corso della storia recente, contemporanea. Anche il ritorno di pericolose e aggressive spinte nazionalistiche nella guerra che negli anni Novanta ha sconvolto i Balcani.
La catastrofe della cultura e dell’identità italiane nelle terre dell’Alto Adriatico Orientale sono state il prezzo pagato da tutta l’Italia a politiche illiberali, antidemocratiche, conculcatrici e dittatoriali negli anni del fascismo.
Durante il Ventennio fascista si sono reificati l’odio nazionale, la totale incomprensione dei problemi contingenti, la presupponenza culturale. Azioni pratiche di violenza fisica e morale, persistenti pregiudizi contro i cosiddetti popoli “senza storia”, perpetrate per anni, hanno cementato l’incomprensione, la non comunicazione, perfino il disprezzo, in muri, barriere invalicabili tra italiani e slavi. Di fronte alla popolazione slovena e croata, pur residente in queste terre da secoli e convivente a fianco della società maggioritaria italiana in forme pacifiche, accettate da tutte le componenti sociali, si sono contrapposte forme di imperialismo e di regime totalitario, che hanno permeato le pratiche politiche quotidiane e di lungo termine.
La risposta alla violenza subita è stata durissima e ha portato all’organizzazione di una lotta nazionale, sociale, culturale, dai risvolti perfino religiosi, che l’Italia, uscita sconfitta dal conflitto, nel 1947 con il Trattato di pace di Parigi, ha subito. Gli istriani, fiumani, dalmati di nazionalità italiana hanno pagato lo scotto con la necessità dell’Esodo.
Eppure questa domanda, questo dilemma: ‘Abbiamo fatto bene a venir via?’ ha dilaniato le coscienze di molti pensatori, di molti intellettuali negli anni difficili e bui del secondo dopoguerra.
Alcuni sono ritornati precocemente e rivisitare le città abbandonate della costa istriana, dove si erano insediate altre genti, ugualmente spaesate, provenienti dal sud dei Balcani. Il loro nostòs è stato doloroso, frantumato tra la consolazione di rivedere le case, i monumenti, le bellezze naturali abbandonate, e la consapevolezza della perdita irrimediabile.
La preoccupazione per la conservazione della cultura italiana, dell’uso della lingua italiana, è stata costante in queste teste pensanti illuminate. Penso a Guido Miglia, a Diego De Castro, a Biagio Marin, a Fulvio Tomizza, che hanno tutti teorizzato e praticato la ripresa del colloquio verbale, dell’interlocuzione, della riappropriazione morale della necessità del dialogo tra andati e rimasti; e tra italiani e sloveni e croati.
Le radici dell’Istria, sostengono gli storici fondatori del Circo di Cultura Istro Veneta “Istria”, tra cui Giorgio Depangher, Marino Vocci, stanno solide come una quercia nelle tre componenti nazionali, italiana, slovena, croata, che possono e devono interagire tra loro in termini paritari, in una relazione simmetrica, sulla base di ideali europeisti, di più ampio respiro.
Oggi la necessità, il dovere, del dialogo si impone agli occhi di tutti, in un momento di risorgenti nazionalismi, razzismi, in nome di un’Europa coesa e solidale che risponda alle attese e alle necessità dei giovani.
Il lavoro che sembra più pressante è proprio il passaggio del testimone alle generazioni più giovani: quelli che risiedono in Italia o all’estero, spesso vivono una sorta di disincanto, di leggerezza, di smemoratezza, pur riaffermando la conoscenza consapevole delle proprie origini istriane, tramandate dai nonni o dai genitori. I viaggi di istruzione, di conoscenza, di visitazione dei luoghi reali, istriani e quarnerini, se sono ben ponderati, con proposte concrete di incontri e frequentazioni, danno i loro frutti, perché fanno scoprire realtà sconosciute o sottovalutate dalle giovani generazioni.
Le varie componenti politiche, istituzionali, culturali, societarie, possono agire a livelli diversi soprattutto per sostenere la minoranza italiana nelle forme comunitarie che si è data democraticamente in Istria, a Fiume, e anche, in forme diverse, in Dalmazia. Anche se i rimasti non possono aspettare solo il sostegno concreto che viene da fuori, per trovare nelle loro organizzazioni politiche e culturali una motivazione forte, per ribadire l’orgoglio dell’appartenenza, pur minoritaria.
Se le memorie sono divise, è necessaria la condivisione di uno sguardo affacciato al futuro; è necessario “fare con”, “fare insieme”, in azioni comuni di co-produzione.
Si sta già realizzando molto, ma molto ancora si può fare, nelle sedi dei giornali, della radio, della televisione; nelle sedi universitarie, per organizzare eventi comunitari, scambi virtuosi di saperi e di esperienze.
I luoghi di eccellenza, materiali e ideali, attraggono e possono parlare di conoscenza condivisa: ad esempio, per il settore che mi riguarda, è possibile avviare uno scambio, un confronto interculturale tra storici, con ricerche e studi; tracciare profili, pertinenti la storia millenaria istriana. Esse traggano ispirazione dalle tante testimonianze documentali reperibili, dalle figure eccellenti, dagli accadimenti da approfondire problematicamente, perfino dai segni dell’architettura e dell’arte agita da eccellenti Maestri. Così la scrittura, la poesia, la produzione letteraria nel suo complesso, e la loro conseguente divulgazione e fruizione, impiantate nel rafforzamento delle biblioteche e della lettura, sono uno strumento efficace per mettere in gioco esperienze umane comuni, per costruire una rete di amicizie trasversali, solida e duratura.
Ma non va sottovalutata tutta l’esperienza della cultura materiale, degli eventi ludici e di intrattenimento, dei colori e dei sapori dell’Istria! Come vanno valorizzati gli sforzi comuni per conservare le antiche parlate istro-venete, espressioni di accezioni arcaiche ma ancora presenti, oggi, sul territorio istriano a macchia di leopardo.
Istituire attraverso regole e leggi un Osservatorio Permanente di dialogo a livelli diversi: per consolidare l’idea stessa della necessità ineluttabile dell’apertura, dell’amicizia transfrontaliera; per preservare una presenza istituzionale italiana sul territorio; per lavorare sul campo in difesa della conservazione della lingua italiana; per costruire degli eventi in grado di coinvolgere anche residenti sloveni e croati, in una promessa di diffusione transnazionale della cultura italiana: forse potrebbero costituire dei momenti positivi di crescita comune e collettiva, in nome del riconoscimento necessario e indilazionabile tra andati e rimasti. Non più “noi” e “loro”, ma noi - noi.