al XIV Festival Internazionale della Storia di Gorizia
di Marco Tessarolo
In occasione dell'edizione 2018 della manifestazione "èStoria", che ha scelto quale tema guida "Migrazioni", l'Associazione delle Comunità Istriane di Trieste ha organizzato un incontro, domenica 20 maggio, a Gorizia, presso la sede staccata dell'Università di Udine, sul tema "Migrazioni forzate ed identita' " .
Sono intervenuti al dibattito: la dott.ssa Antonella Pocecco, sociologa, ricercatrice presso l'Università di Udine, di famiglia di esuli; il dott. Ezio Giuricin, giornalista di TV Capodistria, ricercatore presso il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, di origine istriana; il dott. Biagio Mannino, politologo internazionalista e giornalista presso Radio Nuova Trieste, di madre polesana.
Il dibattito è stato coordinato dal dott. Giorgio Tessarolo, dirigente della suddetta Associazione.
L'articolazione dei lavori prevedeva una prima tornata di interventi, da una decina di minuti ciascuno, seguita da una seconda tornata, dopo alcune riflessioni del moderatore, il quale ha poi tratto le conclusioni dell'incontro dando pure la parola ad alcuni dei presenti, che avevano chiesto di intervenire.
In avvio il moderatore ha chiesto a Giuricin se, per quanto riguarda il popolo giuliano-dalmata dell'esodo, si possa parlare di genocidio culturale e di etnocidio.
Giuricin ha definito la questione "complessa e controversa" dal punto di vista del diritto umanitario, si tratta di concetti giuridici ancora in discussione: al momento tali concetti, come pure quello di pulizia etnica, hanno soprattutto una valenza antropologica.
L'esodo giuliano-dalmata non è stato, comunque, un fenomeno isolato: dopo la seconda guerra mondiale vi è stato uno spostamento forzato di 18 milioni di persone (di cui 12 milioni di tedeschi) con la cancellazione di identità plurisecolari, si pensi, ad esempio alla città natale di Kant, Koenigsberg, che è diventata Kaliningrad.
Del resto già, dopo la prima guerra mondiale si era verificato uno spostamento di circa 14 milioni di persone a causa del crollo dei tre imperi multinazionali: austro-ungarico, zarista ed ottomano; estremamente significativa, al riguardo, fu l'espulsione di 1 milione e 200 mila greci dalla costa anatolica dopo oltre tremila anni di presenza in loco.
Completato il primo intervento, il moderatore ha chiesto a Pocecco, prendendo spunto dal suo concetto di "identità diasporica", quale sia stata la memoria collettiva dell'esodo giuliano-dalmata e quali le intrinseche difficoltà di trasmissione del fatto alle generazioni successive.
Pocecco ha rimarcato come la memoria collettiva dell'esodo sia stata per molto tempo una memoria silente se non occultata. Vi è stato un grande traumatismo culturale con la scomparsa della stragrande maggioranza di una comunità dalla geografia socio-culturale di una intera regione.
Per quanto attiene alla trasmissione intergenerazionale, non sempre le narrazioni familiari hanno seguito un discorso coerente: la perdita della propria terra ed i ricordi vengono "presentificati" e la generazione che ha vissuto l'esodo ha mantenuto vivo il ricordo dei torti e dei soprusi subiti. Il senso identitario riemerge nelle terze generazioni di esodati, particolarmente in quelle residenti all'estero, quale arricchimento della propria attuale identità.
Poi, finalmente, del 2004 la memoria collettiva è diventata pubblica, anche se va rilevato come l'istituzione del "Giorno del Ricordo" non risolva il problema della trasmissione dell'identità.
A questo punto il moderatore ha chiesto a Mannino i dati di uno studio politologico/demografico effettuato dallo stesso relativo alle generazioni post esodo.
Mannino ha ricordato di aver intervistato a Trieste circa 200 ragazzi, studenti tra i 17 ed i 21 anni: il 30% di questi si è definito di origine istriana. I giovani definitisi di origine istriana parlano in misura maggiore il dialetto rispetto agli altri e, di questi, il 70% sente di essere triestino. Molto importante il fatto che tra i ragazzi intervistati nemmeno quelli di origine istriana sentivano contrapposizione con le realtà di oltreconfine e non c'è stato nemmeno interesse ad una ipotesi di Istria di nuovo italiana: per loro si tratta di qualcosa di superato.
A questo punto, dopo una breve introduzione del cooordinatore, vi è stata la seconda tornata di interventi dei relatori.
Tessarolo ha chiesto a Pocecco alcune riflessioni sul Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste da lei definito "luogo di rimemorazione più che luogo di commemorazione", invitandola a precisare tale definizione.
Pocecco ha affermato che il Magazzino 18 non è un luogo della memoria ma un luogo che evoca la memoria ed è un ricordo che ritorna. Si tratta di un luogo che esercita una straordinaria attrattività nei confronti di persone che non sapevano nulla, si tratta di un sito dalla valenza emotiva e dalla potenza evocativa come pochi luoghi al mondo. Emblematico, al riguardo, è il groviglio di sedie nel quale ci si imbatte durante la visita: sono oggetti della quotidianità della vita: tutto dovrebbe rimanere così come sta, non va "musealizzato" perchè svilirebbe l'effetto e toglierebbe ai giovani visitatori ignari l'impatto emozionale perchè Magazzino 18 parla di sofferenze trascorse.
A Mannino il coordinatore ha chiesto come si collochino oggi i giovani, in una logica europea, rispetto a queste tematiche di forte impronta nazionale e se, soprattutto dalle nostre parti, a ridosso di un confine tormentato, si sia già in presenza di un sentire europeo.
Mannino ha affermato come dalle sue interviste traspaia che i giovani siano europei a prescindere dalla loro origine: i giovani avvertono che queste aree costituiscono una macroregione europea alla quale sentono naturalmente di appartenere.
Se ne può dedurre come, a distanza di una settantina d'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vi siano state sia perdita di identità che integrazione.
La propria storia va, comunque, mantenuta, affinchè quello istriano non diventi un popolo da museo.
A Giuricin, chiamato a completare il ciclo di interventi, il moderatore ha chiesto se siano possibili delle riparazioni agli enormi danni che sono stati causati dall'esodo.
Giuricin ha affermato che è difficile pensare ad un ritorno fisico ma è immaginabile, per contro, un ritorno di tipo culturale per i figli ed i nipoti degli esuli giuliano-dalmati collaborando con le comunità dei rimasti per un recupero ed una continuità della presenza della lingua e della cultura italiana in quei territori, ovviamente utilizzando le istituzioni. Per concretizzare quest'idea si rende però fondamentale la collaborazione tra esuli e rimasti: tra chi lì ancora vive e tra chi è depositario della memoria, tutto ciò al fine di evitare la paventata museizzazione (per gli esuli) e la possibile ghettizzazione (per i rimasti).
Tra le tante possibilità di collaborazione Giuricin ha auspicato l'istituzione di un tavolo permanente di coordinamento tra esuli e rimasti, la collocazione di una sezione dell'Irci presso il Contro di ricerche storiche di Rovigno e l'avvio di progetti socio-economici comuni, magari utilizzando i fondi europei.
Dopo un paio di interventi del pubblico, il moderatore ha concluso l'incontro con delle considerazioni finali, che hanno ripreso gli aspetti più significativi toccati dai relatori, e con i ringraziamenti agli organizzatori, ai relatori ed alla dirigente dell'Associazione, Carmen Palazzolo, che ha ideato le modalità di partecipazione dell'Associazione a questa importante manifestazione.
Articolo già pubblicato su "La Nuova Voce Giuliana" n. 374 d. d. 16 giugno 2018