Il nostro blog era presente al XIV Festival Internazionle della Storia di Gorizia, dal 14 al 20 maggio 2018, nell'ambito del tema “MIGRAZIONI”, proposto quest'anno dagli organizzatori. Noi abbiamo pensato a come
LEGGERE IL PRESENTE DALLE MIGRAZIONI DEL PASSATO.
Ne hanno parlato, col coordinamento di Anna Piccioni, gli storici Diego Redivo e Silva Bon per quanto riguarda, rispettivamente, le migrazioni nel 900 e quelle degli Ebrei nel periodo 1933 / 1938, con particolare riguardo al loro passaggio per il porto di Trieste, mentre il politologo Biagio Mannino ha analizzatto l'atteggiamento dei discendenti degli esuli giuliano-dalmati, che furono, anch'essi, degli esuli forzati.
Introduzione di Anna Piccioni
Il tema viene introdotto da Anna Piccioni: Siamo giunti – dice la Piccioni - agli ultimi incontri di questa storica manifestazione culturale, durante la quale si sono succeduti numerosissimi eventi culturali sul tema delle “migrazioni”: conferenze, dibattiti, proiezioni di filmati. Il tema è attuale, scottante, difficile. Io, e credo anche altri, ci auguriamo che riflettere e dibattere quest'argomento abbia contribuito a capire che la migrazione non deve essere un problema, ma un fenomeno che caratterizza il nostro essere umanità. Lo “ius migrandi” rientra infatti nei diritti di ognuno e la storia ci dimostra che l'umanità è stata migrante fin dall'antichità. Certamente le ragioni che spingono un popolo a spostarsi sono varie e a volte molto drammatiche, la principale delle quali è di solito la sopravvivenza: ci si sposta per fame, per pericolo per la propria vita e per salvare i propri figli.
Un tempo, forse, la vista del migrante pellegrino era maggiormente tollerata, egli poteva anzi essere considerato portatore di novità. Oggi invece il migrante e criminalizzato, è un potenziale stupratore, assassino, ladro, comunque un estraneo che viene a destabilizzare un sistema in cui tutti i componenti di una data comunità si riconoscono. Così si eleva un muro reale o immaginario per tenere lo straniero fuori, ma anche per rinchiudere chi sta all'interno di questo spazio.
L'equilibrio che si vuol mantenere è determinato soprattutto dal “benessere” che quella comunità ha raggiunto. Le frasi più comuni per fomentare l'avversione, se non addirittura la paura verso i migranti, gli altri, loro, è far credere che “Ci portano via il lavoro... Pretendono di avere la casa gratis... Ricevono 35 euro al giorno... etc. etc.”, l'ultima che ho sentito in ordine di tempo è stata:
“Costringono i nostri giavani ad emigrare per lavoro”. Le ragioni che inducono i nostri giovani ad emigrare in altri Paesi d'Europa sono invece la ricerca del riconoscimento delle loro capacità e competenze e del loro adeguato compenso.
Questo sistema di intolleranza va contro tutti i principi civili e umani dell'accoglienza, della pietas, del ius migrandi e evidenzia la contraddizione col concetto stesso di democrazia, che è rispetto dei diritti umani.
Fanno più paura gli individui di altra cultura che non i Robot,che sostituiranno il genere umano.
Anna Piccioni passa quindi la parola per una trattazione generale dell'argomento a Diego Redivo
Migrazioni di Diego Redivo
Le migrazioni – sostiene Redivo – fanno parte della storia dell'umanità, la sua stessa famiglia è una famiglia che in un passato non tanto remoto migrò dal Friuli a Trieste.
Le ragioni che inducono le persone allo spostamento sono di solito di carattere politico / economico, ma anche dietro alla motivazione politica si nasconde spesso quella economica perché, da sempre, l'uomo va alla ricerca di condizioni di vita migliori.
Oggi si emigra per motivi demografici, politici ed economici e, dal momento che il fenomeno riguarda lo spostamento di una grande massa di persone verso piccoli spazi e città, esso crea preoccupazione. Questa non esiste quando la migrazione ha per destinazione grandi spazi, nel qual caso viene anche generalmente diretta e organizzata dagli Stati, com'è accaduto in particolare per l'emigrazione verso le Americhe, che nel passato era molto frequente. L'Italia ha preso coscienza del problema soltanto nel XX secolo ed ha emanato delle leggi per regolamentarla ed eliminare gli intermediari.
Interviene poi Silva Bon, per trattare
Le emigrazioni del popolo ebraico nel primo 900 di Silva Bon
Gli Ebrei – dice Silva Bon– sono gli eterni erranti anche dopo la costituzione nel 1948 dello Stato d'Israele. Nelle città di Trieste e di Gorizia le comunità ebraiche si sono formate per immigrazione, l'ultima delle quali fu quella da Corfù a Trieste nel 1898 a causa di un pogrom. Questi gruppi di ebrei si integrarono poi con le comunità locali anche grazie a leggi di governanti illuminati come Maria Teresa d'Austria che,con la “Patente di Tolleranza” del 1771, concesse agli ebrei dei privilegi, che il successivo “Editto di Tolleranza” di suo figlio Giuseppe II nel 1781-’82 ampliò facendo il primo passo verso l’emancipazione degli ebrei, che furono ammessi alle cariche di deputati alla Borsa, alle professioni liberali, alle scuole pubbliche e all’Università, ottennero la libertà di comprare e vendere immobili e di svolgere qualsiasi attività commerciale e finanziaria, finché, nel 1784, fu abolito pure il ghetto.
Ma fu soltanto nei primi anni del Novecento che si posero le basi del “Sionismo”, un movimento politico-religiosofondato da Theodor Herzl, che auspicava la fondazione di uno Stato che accogliesse gli ebrei che non potevano o non volevano integrarsi con gli altri popoli. Questo Stato doveva sorgere lontano dall'Europa, possibilmente inPalestina,antica patria ebraica. Cominciò così un flusso costante e continuo di ebrei diretti verso la Palestina attraverso ai porti di Venezia, Genova, Fiume e soprattutto Trieste, grazie agli aiuti della comunità ebraica locale. A questo tipo di emigrazione si affiancò durante il periodo nazista quella di carattere politico, che portò a Trieste numerosi ebrei tedeschi e austriaci fino all'entrata in guerra dell'Italia nel 1941. Un'altra massiccia emigrazione verso Israele avvenne dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945. Ora diverse giovani famiglie ebraiche si trasferiscono a Trieste per far frequentare ai figli la scuola ebraica.
Prende infine la parola Biagio Mannino per trattare
Gli effetti trasgenerazionali sull'identità nell'esodo istriano di Biagio Mannino
Quello di Mannino è un discorso che parte da lontano, da analista politico. La popolazione mondiale – egli dice – è in costante aumento: nel 2050 essa conterà 9.7 miliardi di abitanti, ma la crescita non avverrà in modo omogeneo, diminuirà ad esempio in Europa mentre aumenterà a dismisura altrove. Ciò indurrà all'emigrazione a cui conseguono inevitabilmente problemi di accoglienza ed integrazione. Ma l'emigrazione è uno “status” che provoca, fra l'altro, la paura della perdita dell'identità da parte dell'emigrante e anche da quella del residente, che non la vuole perdere. È istruttiva, da questo punto di vista, l'esperienza degli esuli giuliano-dalmati. Una ricerca, svolta attraverso a interviste a 200 giovani fra i 17 e i 21 anni ha infatti dimostrato che, a 70 dall'esodo, la maggioranza dei nipoti degli esuli non sente alcun legame di appartenenza al paese di origine della famiglia, non si sente istriana. I nipoti degli esuli giuliano-dalmati si sono pienamente integrati nella comunità triestina che ha accolto i loro nonni ma, anche se si sentono triestini ed europei, ritengono importante conoscere le proprie origini. L'accoglienza ha dunque avuto successo ma è andata persa un'identità. L'integrazione a Trieste è stata forse facilitata dal fatto che questa città si potrebbe definire una comunità di comunità; essa è da decenni una città multietnica, plurireligiosa, plurinazionale, perché uno che risiede a Trieste può essere italiano, sloveno ma anche cinese, giapponese o di un'altra nazione; può essere di rito cattolico, ortodosso o mussulmano.
Carmen Palazzolo