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... a un allevamento del bovino Bošcarin e alle danze macabre di Vermo.

Il 15 ottobre 2017 il Circolo di Cultura Istro-veneta "Histria" ha fatto un'interessante gita culturale in Istria avente due momenti salienti, la visita all'allevamenteo di Boscarin di Mario Gasparini, a Fabci, nel visignanese, e quella alla chiesetta di Santa Maria alle Lastre di Varmo, frazione di Pisino, dove esiste uno dei due esempi di danze macabre dell'Istria, come più avanti viene descritto.

A Fabci l'allevatore ha fatto sfilare davanti ai partecipanti, in una sorta di labirinto da lui stesso ideato e costruito, i suoi splendidi animali, di razza Boscarin, fra i quali ci sono bestie adulte e giovani e pure un torello. Uno degli interessi di questo allevamento consiste nel fatto che gli animali vivono liberi in un ampio spazio in cui la stalla è un ricovero che le bestie possono usare oppure no, a seconda del tempo atmosferico e dei loro bisogni e desideri. L'alimentazione è data dal foraggio ma proviene anche dal pascolo libero nei campi intorno al villaggio, ai quali l'allevatore li conduce quasi tutti i giorni.

La visita all'allevamento si è conclusa con un lauto spuntino, preparato dalla famiglia Gasparini, al quale tutti hanno fatto grande onore.

Sarà però forse interessante saperne di più su questo prezioso Boscarin, la cui saporita carne viene preparata e servita un po' ovunque in Istria; traiamo le informazioni da un articolo del presidente del Circolo Istria, tratto dal volume "Profumi d'Istria", curato per il Circolo da Carmen Palazzolo Debianchi nel 2011.

Il bovino istriano, oggi Bošcarin

"Bošcarin" è il nome che oggi viene dato al bovino istriano di razza podolica, ormai ridotto a reliquia genetica; sul territorio istriano saranno attualmente presenti un centinaio di capi. (...)
Il Bosšcarin, seppur possente, è un soggetto docile e mansueto alla mano dell'uomo. Aggiogato in diverse coppie, ha trasportato massi anche per la costruzione dell'Arena di Pola e dissodato il tenace terreno istriano. Come quasi ogni altra cosa, è giunto sulle rive dell'Adriatico dall'Est, dalla Podolia, dalle terre alte e basse granitiche dell'Europa Orientale; da qui si è diffuso nelle zone litoranee della penisola appenninica dando luogo per isolamento geografico successivo a popolazioni, famiglie e sottofamiglie di forme, in alcune delle quali, per l'influenza di caratteristiche ambientali simili delle zone di insediamento, il bue ha mantenuto o ha assunto aspetti morfologici molto simili. Si rassomigliano così l'istriano, il marchigiano, il pugliese, il calabro e, per certi aspetti, anche il maremmano. Il pugliese e l'istriano, adatti al terreno carsico, hanno assunto caratteristiche morfologiche pressoché identiche.

Il bovino istriano è una razza a triplice attività: lavoro, carne e latte. Il suo primo nemico, nel tempo, è stato il trattore, che ha fatto la sua presenza in Istria già negli anni '30 nelle zone della bonifica. Il suo secondo nemico, più subdolo, è stata la specializzazione zootecnica produttiva, che impone la scelta fra animali produttori di carne e quelli produttori di latte. Ed il boscarin, che fino allora aveva offerto all'uomo tutto quello che poteva, compreso il tepore della stalla nelle notti invernali, chiudeva il suo antico rapporto con l'uomo al macello. (...)
Oggi i bovini di razza Podolica sono presenti per quasi la totalità nel Sud Italia, e in particolare in Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise (...) In Istria, animali riferibili alla razza podolica sono presenti in pochi esemplari con il nome di "Bovino istriano" e "Slavonian Podolian". (...).

Visita l/album fotografico della gita.

Vermo e la Draga

di Franco Colombo

Tra il canal di Leme, il fiordo istriano e Pisino esiste una depressione valliva lunga circa 25 Km, chiamata in slavo Draga e geograficamente “Vallone di Canfanaro”. Questa eccezionale depressione si è formata negli strati calcarei del cretaceo per l’erosione un tempo esplicata dal torrente Foiba, che circa 40 milioni di anni fa scorreva in superficie, mentre ora si scarica nell’abisso di Pisino, proseguendo il suo percorso carsico sotterraneo.

Rimane in superficie solo la valletta del torrente Cipri, che inizia sotto le pendici dei monti Pilociag e Grande, presso cui si trova l’antico borgo di Vermo. In questa valle i principali abitati sono Coriatico, dove fino alla fine del Settecento passava il confine politico che divideva il mandamento dell’Istria sotto Venezia dall’antica contea dell’Istria o di Pisino prima dominata dai conti di Gorizia quindi dagli Asburgo d’Austria. Poi Antignana-Tinjan; Canfanaro-Kanfanar, divenuto il centro principale dopo la scomparsa dell’antica Duecastelli-Dvigrad, formata tra i due castelli, Castel Parentino, la torre di guardia del castello principale detto Moncastello. I due castelli che diedero il nome alla località furono costruiti già nel VI secolo quando in Italia nel 568 ci fu l’invasione da parte dei Longobardi e l’Istria ebbe luogo un largo fenomeno di incastellamento a scopo di difesa.

Il Circolo Istria negli anni scorsi si è recato già un paio di volte a visitare le loro rovine assieme a quella dell’antica basilica di Santa Sofia, la cui abside possedeva pitture murali, ormai scomparse dell’VIII secolo. Dal punto di vista artistico c’è ancora da ricordare l’abitato di San Pietro in Selve-Sv. Petar u Sumi, chiamato così dall’antico monastero di S. Pietro che un tempo sorgeva in mezzo a vaste foreste di roveri che gli diedero il nome. Il monastero benedettino ebbe la donazione del territorio nel 1102 da Ulrico della famiglia sveva dei Weimar-Orlamunde, marchese d’Istria. Il monastero così divenne il centro religioso e culturale per un millennio ed esiste ancora. Nel suo territori, attraversato un tempo dalla ferrovia Pisino-Pola, si trovava un antico castelliere degli Histri e poi un castello di cui non esiste più traccia chiamato Castrum Vianetus o Vicini, o anche S. Pietro o Vicinat da cui poi prese il nome di Visinada. Vermo-Beram, nella valle del Cipri, fu sede attorno all’anno mille di un’antica abbazia de Benedettini ma probabilmente già venuta meno tra il XII ed il XIII secolo ma è rimasto l’attuale santuario della Beata Vergine delle Lastre o Madonna delle Lastre con i suoi pregevoli affreschi di Vincenzo da Castua risalenti al 1474.

La chiesa fu Chiamata così per le stratificazioni di roccia su cui è stata costruita e, nei tempi più antichi, anche il tetto della chiesa era ricoperto da lavere, da lastre di pietra. Nella chiesa parrocchiale di S. Martino, in centro, rifatta su una più antica nel 1431 come risulta da un’iscrizione glagolitica nel battistero, si vedono affreschi di grande interesse dipinti sull’arco trionfale da un maestro friulano di scuola veneta e sulle pareti a volta dell’abside, che mantiene la sua costolatura originale in pietra, a sesto acuto, ci sono dipinti sempre del XV secolo, in stile gotico. Nel battistero ci sono alcune iscrizioni glagolitiche. A Vermo sono avvenuti molti rinvenimenti antichi: una cista di bronzo con figure geometriche e di uccelli, un cavallino arcaico, perle d’ambra e punte di selce o pietra focaia, unico rinvenimento in Istria, dove tale pietra non esisteva e veniva importata per punte di freccia e coltelli. Ed ancora molti oggetti dei secoli seguenti ma non del periodo romano, per cui si presume che in quell’epoca esso fosse abbandonato. Divenne un castello fortificato nel primo medio evo circondato da una doppia cinta di mura e difeso da una torre rettangolare e da un ampio castello, che però andò in rovina diventando la casa del gastaldo. La torre è ben visibile ancora nella secentesca veduta del Valvason (Luigi Foscan, I castelli medievali dell’Istria, p. 85), mentre il castello in uno schizzo delle Memorie di Prospero Petronio.

Il castello e la torre rappresentano proprio lo stemma del paese di Vermo. Non è esatto che Vermo sia stato donato nel 911 dal re d’Italia Berengario al vescovo di Trieste Taurino, notizia avallata dallo stesso Foscan (p. 83) e da numerosi storici. In realtà, come dice chiaramente il documento, si trattava di una donazione di due castelli, chiamati uno maggiore e l’altro minore, quindi come a Duecastelli. Essi sono stati in tempi recenti individuati come quelli di Auremiano Superiore e Auremiano Inferiore sul Carso. Vermo in realtà ha posseduto solo un castello chiamato Burgar, corruzione dal tedesco in cui Burg significa appunto “castello”. Di sicuro invece sappiamo che Vermo, per privilegio del papa Alessandro III al vescovo di Parenzo Pietro, pagava le decime della sua chiesa plebanale e quindi Vermo non faceva parte dei possessi feudali del vescovo di Trieste (911-1040-1230) come sostenuto anche da Dario Alberi nella sua, peraltro eccellente, guida dell’Istria (p. 1459).

La danza macabra di Vermo, frazione del Comune di Pisino (Istria)

di Franco Colombo

Perché e come si svilupparono le danze macabre in Europa

Gli orrori della grande peste di metà del Trecento influenzarono successivamente anche le forme d’arte. I faccia a faccia con un cadavere divennero un tema iconografico di grande successo. In Francia, una delle manifestazioni più spettacolari furono le sculture del loro cadavere sulle tombe dei personaggi importanti, tipo di sculture che in francese fu chiamato “transi”. Se ne conoscono 75 nell’Europa del XV secolo. In Italia venne invece privilegiato il tema iconografico del trionfo della morte, rappresentato in maniera spettacolare al camposanto di Pisa nel 1350, appena due anni dopo la peste, ed altri due temi che ebbero un successo ancora più vasto: quello della vanità, rappresentazione del teschio, che prolungò la propria fortuna per tutto il Rinascimento fino all’arte barocca; e quello della danza macabra, che riempì i muri dell’Europa cristiana nel XV secolo, rappresentando non la morte individuale, ma tutta la società e le categorie sociali e politiche che la compongono.

Guidata dal papa e dall’imperatore, oppure da re vescovi, fino ai nobili , borghesi e contadini; non vi sfuggono nemmeno le donne. Notare che in precedenza la Chiesa aveva fermamente condannata la danza, considerandola un residuo pagano e sconveniente, ponendo freno anche alle carole delle sagre contadine. Soprattutto in Francia il primo grande capolavoro fu eseguito sul muro del Cimitero degli Innocenti a Parigi nel 1425, ma poi in tantissime cittadine e perfino villaggi.

In Istria le danze macabre sono presenti nella piccola Cristoglie (1490) e a Vermo (1474).

L’autore fu Vincenzo da Castua, dal nome della località dove aveva la sua bottega, ma di origine friulana come pure il suo probabile coetaneo Giovanni da Castua, che affrescò invece la chiesetta di Cristoglie in Risano. Questo tipo di pittura, infatti, non fu originario dell’Istria, ma fu introdotto dall’esterno, risentendo degli influssi dell’arte slovena (Giovanni da Lubiana), friulana e veneta ed addirittura importata dal Nord germanico e fiammingo.

La data di esecuzione del ciclo di Vermo, 1474, risulta dall’iscrizione latina leggibile sopra la porta laterale destra che, tradotta, dice: ”A gloria di Nostro Signore Gesù Cristo, amen, e della Gloriosa Vergine Maria ed in nome di tutti i Santi, fece eseguire quest’opera la Confraternita della M.N.V. – La dipinse Maestro Vincenzo da Castua e la compì nel mese di novembre, otto giorni dopo S. Martino – Anno Domini Millequattrocentosettantaquattro”. L’architettura della chiesa di S. Maria è semplice e consta di un vano rettangolare con un abside quadrata. All’esterno si presenta con un portico coperto dalle tegole del tetto, a tre arcate con, sopra la facciata, un campaniletto a vele che ha una bifora con una campana. La facciata è in pietra arenaria come il pavimento della chiesa. L’acquasantiera esterna è stata ricavata da un masso di calcare infisso nella muratura. Ha finestrelle gotiche e finestre a lunetta nell’abside. Sopra il portone della chiesa si notano tracce di un antico affresco in una nicchia e, in una piccola finestrella, è racchiusa una stella di pietra.

L’interno è diviso da un arco a tutto sesto che separa l’aula dal presbiterio; vi si può ammirare uno dei più singolari e completi cicli di affreschi dell’intera regione istriana, restaurati nel 1913, e che possono dividersi iconograficamente in 3 gruppi: 1) scene della vita della Vergine; 2) scene della vita di Cristo; 3) raffigurazioni di singoli santi, figurazioni simboliche, allegoriche e decorative.

Gli affreschi sono così distribuiti:

  • Parete settentrionale: Fila superiore: Adorazione dei Magi, episodi della vita di Cristo; Fila inferiore: altri episodi della vita di Cristo;
  • Parete meridionale: Fila superiore: scene della vita di Maria; Fila inferiore: altre scene della vita di Maria;
  • Parete occidentale: Fila superiore: la “Danza Macabra”; Fila inferiore (a sinistra della porta d’ingresso): la “Ruota della Fortuna”;
  • Parete orientale: Altare. – In tutte le pareti sono raffigurate immagini ed episodi della vita di Santi.

In Istria ci sono tre “Adorazioni”: a Cristoglie e a Vermo dei due da Castua ed una a Gradisce sul Carso, praticamente come tardi epigoni della cultura internazionale “cortese” e “cavalleresca” che rimandano anche ai bestiari medievali per gli aspetti veristici dei molti animali che affollano lo scenario tra i nobili personaggi. Più che al grande affresco con il “Viaggio dei Magi” che Benozzo Gòzzoli dipinse nella Cappella Medicea tra il 1459 ed il 1463 si tratta di un tardogotico fiorito che ebbe i suoi epigoni nei pittori che affrescarono con questo tema in Carniola e Carinzia ed in affreschi alpini, presenti anche in Germania, Svizzera, Francia ed Inghilterra, come anche nel ciclo della Danza Macabra. Così nei cicli di Teriece, di Srednja Vas (1440); di Dolec presso Krsko, a Maria Saal (1435) presso Klagenfurt, e Ptujsca Gore (1327), assegnati a un Giovanni di Brunico. Oltre alla cavalcata di nobili personaggi i frescanti lasciano libero sfogo alle loro fantasie soprattutto nel settore delle fiabe animali. Tutte le figure delle “cavalcate”: Magi, cavalieri, soldati e donne sono vestiti anacronisticamente alla moda del XV secolo. Nella danza macabra ci sono due scheletri in atto di danza, l’uno è di suonatore di strumento a corde, l’altro che conduce per mano un vescovo ed un re; un terzo scheletro abbraccia una regina ed inoltre è fiancheggiato da altri due: il tutto per far capire il concetto dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani di fronte alla morte.

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