Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine 1945-1970
di Gloria Nemec
Se nello stato di guerra i civili sono vittime della follia degli uomini e lo stato di precarietà porta a vivere giorno per giorno coltivando tuttavia nell'animo la speranza, il momento più drammatico è il dopo guerra con la ricostruzione di rapporti, dei valori della propria dignità. Ma quando alla fine della guerra si è costretti ad abbandonare tutto, soprattutto la propria storia, sapendo che è un andare senza ritorno la tragedia è indescrivibile.
Il popolo degli esuli in maggioranza proveniva dalla campagna, una terra sulla quale si sono succedute generazioni; sempre uguale a se stessa, fonte di vita e di sicurezza. Da questo ambiente s’imbattono in strade, vie, capannoni, attese, sospensioni su un avvenire incerto. Vien quasi naturale “perdersi” . Senso di inferiorità di fronte al “cittadino”, ignoranza, analfabetismo, contribuiscono a minare la resistenza psichica.
E questo volume tiene conto di un fenomeno poco conosciuto provocato dall’esodo: la follia. Chiamati folli solo perché ricoverati e curati nell’ospedale psichiatrico di san Giovanni?
Lo sradicamento dalla propria terra dalla propria famiglia dalle proprie abitudini mettono a rischio l’ identità.
Nella sua ricerca tra gli archivi storici, Gloria Nemec evidenzia come molte fossero le donne passate per i padiglioni del “Galatti”. O perché trovate a vagare sperdute per le strade della città, ma soprattutto,“denunciate” dalla famiglia stessa per il loro comportamento “deviante” e quindi i familiari ritenevano il ricovero una prevenzione a ogni caduta morale e disonorevole. Con il ricovero nel manicomio si ripeteva l'esclusione, lo sradicamento. Diventava in tal modo ancor più lunga e piena di ostacoli la strada dell'adattamento.
Ogni comportamento asociale legato a rabbia, ribellione, soprattutto tra gli adolescenti e i bambini veniva represso con un ricovero coatto
Si assiste a fenomeni che partendo dalla disgregazione sociale, passano attraverso alla disgregazione familiare, fino ad arrivare a quella individuale: uno sradicamento dal proprio vissuto.
La presentazione del volume è affidata a Livio Dorigo, profugo di Pola presidente del “Circolo Istria”, e a Peppe Dell'Acqua, psichiatra.
Va ricordata la grande umanità dimostrata da Trieste, che seppe accogliere senza distinzioni i suoi connazionali di oltre confine, organizzando tutta una serie di politiche dell'accoglienza.
Anna Piccioni