di Biagio Mannino
Come valutare tutto quello che è stato detto e scritto su Sergio Marchionne?
Se consideriamo i commenti di pochi anni fa, Marchionne veniva visto come un manager estremamente deciso e sostanzialmente in antitesi con tutti: il portatore degli interessi degli industriali e di quelli oltre oceano.
A sentire le opinioni di questi giorni, invece, la figura di Marchionne appare trasformata, un grande italiano che ha saputo non solo salvare la FIAT ma anche renderla il settimo gruppo automobilistico mondiale ed azienda di chiara presenza internazionale.
Che Marchionne sia stato un grande manager non ci sono dubbi ma, di chi abbia maggiormente curato gli interessi… ci sarebbe molto da discutere.
Quello che colpisce è la copertura mediatica che le vicende tristi e naturali come, appunto, la scomparsa del manager, hanno avuto.
Un’attenzione e, in particolare, un’attesa all’evento, accompagnato da valutazioni assolutamente positive non solo sulla persona ma anche su tutto il suo operato e vedendo nella sua prossima uscita di scena, la perdita di un ruolo raggiunto ed elevato di un intero Paese: l’Italia.
Se leggiamo i numerosi tweet che apparivano sulla rete , è unanime la considerazione dell’importanza basilare del suo ruolo e appare evidente lo sconcerto e l’incertezza per il futuro di uno Stato privato di una delle più valide figure.
Però, pochi anni prima, i contrasti sindacali erano forti così come quelli con parte della politica italiana e non erano pochi i sospetti sul futuro industriale quando alleanze produttive venivano allacciate con aziende USA e trasferimenti venivano effettuati.
Quel ruolo della produzione automobilistica in Italia trovava più che un consolidamento, un risultato di sopravvivenza in un mercato che spostava altrove gli effetti decisionali e relegava Torino ad un ruolo marginale e secondario.
Un ruolo marginale e secondario che sembra trovare oggi la consapevolezza quando, di fronte al dopo, gli interrogativi sono sempre di più sul concreto interesse produttivo nell’Italia di FIAT, Alfa Romeo, Ferrari e tanti altri ancora.
Sì, Marchionne ha salvato un gruppo automobilistico rendendolo effettivamente internazionale ma, l’internazionalità, diviene fonte di gioie e di dolori quando la produttività, la ricerca e le decisioni si collocano in ambito… internazionale.
Le vicende della politica italiana contemporanee evidenziano una sorta di cambiamento che pone le forze politiche degli ultimi venti anni, di fronte al ciclone Lega – Movimento Cinque Stelle.
Indubbio è il passaggio a modi di gestione della politica in esercizi decisamente differenti e, quel tradizionale consolidamento che le forze politiche trovano nelle strutture periferiche emarginali, si scontra con il nuovo.
Progressisti o meno, alla fine, divengono espressione di un’unica visione che possiamo definire come conservatrice e, di fronte, al nuovo, che per definizione è incognito, la figura di riferimento è necessaria ad un sistema che lascia il passo.
Marchionne diviene così la figura che unisce le forze di Governo precedenti, che, sebbene in antitesi nel passato, trovano nella necessaria unione un salvagente al cambiamento.
Di conseguenza, Marchionne unisce nelle diversità e assume il ruolo di collante per una classe politica di tipo tradizionale, conservatrice e trasversale.
Vero è, poi, che arrivano i “parenti” di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza e, di fronte all’ondata mediatico espressiva, quella figura diviene un po’ per tutti fonte di adeguamento, considerazione, autovalutazione, autostima, possibilità di apparire e tanto altro ancora, ma… null’altro.
E così Marchionne assume un ruolo non voluto, da lui non richiesto, attribuito da altri e si trasforma come un camaleonte divenendo, a seconda dei casi, italiano, canadese, abruzzese, istriano, cugino e, sicuramente ancora qualche cos’altro, a seconda di chi sarà più bravo nel sapere cercare.
Ma, alla fine, qual’è il giudizio effettivo su Marchionne?
Per gentile concessione da Il Vento di Nord Est