recensione di Anna Piccioni
Gino Strada dedica questo volume che raccoglie le cronache dei suoi viaggi nei Paesi più martoriati alla moglie Teresa; la dedica è alla fine del libro “perché tutto quello che precede, esattamente tutto, è stato reso possibile dalla generosità, dall'intelligenza, dalla pazienza e soprattutto dall'amore di Teresa.” [pag. 155]
Sono chiamati “pappagalli verdi” dai vecchi afgani i piccoli ordigni esplosivi lanciati dagli elicotteri sui loro villaggi, e i bambini li raccolgono pensando siano dei giocattoli. Quando la guerra “finisce”, si fa per dire, migliaia di oggetti inesplosi rimangono sul terreno e continua la carneficina.
Gino Strada ha sempre detto di non essere un pacifista, ma di odiare la guerra. Si comprende questa sua affermazione dalle cronache di un chirurgo di guerra che ha visto gli effetti terribili sui bambini soprattutto, prime vittime della follia dei signori della guerra.
Gino Strada fondatore di Emergency assieme ai suoi collaboratori, medici infermiere anestesisti provenienti da varie parti del mondo, ha operato e a volte salvato feriti dilaniati da armi prodotte anche in Italia; sempre in prima linea nei luoghi dove le guerre durano da anni: guerre che rapinano l'infanzia e l'adolescenza.
È stato in Afganistan, in Iraq, in Iran, in Etiopia, in Angola, in Siria, nella ex Jugoslavia. Le storie si assomigliano,lo scenario non cambia: “sale operatorie” improvvisate tra il fischiare delle pallottole e dei mortai, dove l'igiene è un optional di cui si deve fare a meno e così dell'acqua corrente, della luce; difficoltà a operare casi gravissimi che superano amputazioni, ma poi il fisico stremato spesso soccombe.
Vedere bambini e bambine maciullati da ordigni abbandonati, che nessuno si è preoccupato di rimuovere . E inoltre c'è sempre la paura che l'una o l'altra fazione in lotta con prepotenza e minacce impedisca di salvare vite. Emergency non chiede al ferito da che parte stia, è una persona che ha bisogno di essere operata.
Oltre alla cronaca vera e propria, Gino Strada si sofferma su alcune riflessioni: prima di tutto l'orrore della guerra e poi quale destino hanno e avranno quei bambini, bambine, fanciulli, ragazzi che sono vivi sì, ma con braccia e gambe amputate, il viso deturpato, e negli occhi la paura e il terrore per quello che hanno vissuto. Una generazione che non ha mai conosciuto la pace che non ha alcuna speranza di futuro, bambini che nemmeno sanno piangere. Per questo Gino Strada non è un pacifista la sua è una denuncia contro i signori della guerra, i “Grandi” della terra che finanziano e si arricchiscono sulle vite di vittime innocenti.
In varie parti di queste cronache Gino Strada si chiede perché si trovi, perché non èrimasto a fare il chirurgo in condizioni normali, non è rimasto vicino alla sua famiglia: alla moglie Teresa, con cui ha condiviso l'esperienza di Emergency, o alla figlia Cecilia, che invece ha compreso l'impegno del padre tanto da seguire il suo esempio. La risposta cerca di darsela dicendo: “...Qui sto facendo qualcosa di utile, che mette d'accordo lamia professione con la mia opinione sulla vita e le sue vicende...In fondo sono le stesse idee, quelle che mi facevano sfilare in cento cortei nel Sessantotto,e che ora mi hanno portato nel Baluchistan. Idee di solidarietà, consapevolezza di essere in qualche modo in debito verso i più sfortunati della terra...No, no ancora una volta una spiegazione di copertura...Sono qui, piuttosto, perché non ho mai retto la routine, per soddisfare la mia voglia di viaggiare, curiosare...Perché è una sfida che rompe la monotonia, tanto più affascinante,quanto più difficile. Riuscire a farcela...”[pag. 114 - 115]