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Si è svolta lunedì, 25 aprile 2016, a Barbana, isoletta della laguna di Grado (GO), una grande manifestazione religiosa, che laicamente possiamo descrivere come un riuscito raduno di quasi tutte le associazioni degli esuli giuliano-dalmati. 300 i presenti, appartenenti all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, all’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste, ai Liberi Comuni in esilio di Pola, Fiume, Zara e ad altre espressioni del mondo dell’esodo che hanno aderito all’iniziativa, quasi tutti rappresentati dai loro presidenti.

Era presente pure Antonio Ballarin, presidente della Federazione degli esuli e, per i rimasti, Maurizio Tremul, presidente della Giunta Esecutiva, con la moglie Alessandra Argenti. Essi hanno risposto all’invito dei Frati Minori Francescani, che curano il Santuario Mariano dell’isola, e a quello di Walter Arzaretti, organizzatore della manifestazione. L’invito dei frati era testualmente “di convenire, nel Giubileo della Misericordia, sull’isola che guarda alla struggente terra dei vostri natali. Il vostro popolo dal volto nobile e generoso 70 anni fa ha abbracciato la croce del martirio ma non ha rinunciato a essere cristiano oltreché italiano! Oggi siete invitati dalla Storia e dalla fede dei padri a compiere gesti di misericordia, cioè alla riconciliazione e al perdono”. L’occasione per lo svolgimento della manifestazione è stata offerta dall’anniversario della morte di Egidio Bullesi - esule da Pola, deceduto in odore di santità nel 1929, a soli 24 anni, per tubercolosi contratta nell’esercizio dell’apostolato - congiunta all’apertura il 16 aprile della Porta Santa del Giubileo della Misericordia 2016 nel Santuario Mariano dell’isola.

 

Agli organizzatori è così sorta l’idea di chiamare a raccolta il mondo dell’esodo giuliano-dalmata per ricordare un venerabile esule e nel contempo celebrare il Giubileo. Il luogo prescelto, l’antico Santuario Mariano di Barbana, nella laguna di Grado, è pure significativo perché a Grado si sono fermati molti esuli della costa istriana che nei paesi natii esercitavano il mestiere di pescatori, che hanno continuato a praticare pure qui. Fra essi ricordo i Villio di Fasana, fratelli di mia suocera, che vennero qui con la loro barca da pesca e qui un loro discendente continua a praticare il mestiere dei padri. Ho rivisto con piacere sua madre a Barbana. Il 25 tutto si è svolto secondo il programma accuratamente predisposto da Walter Arzaretti, che ha atteso all’imbarcadero i partecipanti, convenuti con le corriere da Trieste, Gorizia e altrove a Grado, da dove si sono imbarcati per l’isola e si sono raccolti attorno alla grande Croce, posta a ricordo del Giubileo del 2000. Ad essa sono pure convenuti in processione il vescovo Oscar Rizzato, l’Abate e i frati del convento annesso al Santuario, suoi curatori. Qui, dopo la benedizione del vescovo, è avvento lo scambio dei saluti delle autorità ecclesiastiche e dei Presidenti delle Associazioni degli esuli, quindi la folla si è avviata in processione cantando le litanie verso la Porta Santa del Santuario, che è una porta “stretta” e che è stata attraversata ordinatamente dopo la professione di fede e la recita del Credo.

È così cominciato il rito del Giubileo, che si è perfezionato con la Comunione eucaristica e l’uscita dalla chiesa dalla porta “larga” principale. La Messa solenne è stata sostenuta dal canto dal coro dell’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste; alla fine del rito la giornalista del quotidiano milanese L’Avvenire, Lucia Bellaspiga, figlia di esuli da Pola, ha letto, secondo gli accordi, una significativa allocuzione in cui, partendo dai suoi ricordi infantili dei genitori e dei parenti che parlavano con nostalgia dei luoghi, degli odori e dei sapori della terra d’origine, ha toccato tutte le tematiche dell’esodo: l’andare e il rimanere, l’arrivo in Italia, improvvisamente nullatenenti, senza casa né lavoro, l’accoglienza e i Campi Profughi, l’opera pastorale che svolsero da esuli fra gli esuli i vescovi di Parenzo e Pola mons. Raffaele Radossi, di Fiume mons. Ugo Comuzzo, di Zara mons. Pietro Doimo Munzani, e Antonio Vitale Bommarco di Cherso che, anche se non era esule, raccolse intorno a sé e si prese cura della gente proveniente dalla sua isola natia. E non manca di nominare, oltre ai numerosi sacerdoti anonimi, i martiri don Angelo Tarticchio, Padre Placido Cortese, don Marco Zelco, don Francesco Bonifacio, lo stesso Egidio Bullesi e i laici Norma Cossetto e tanti altri. Nomi per tanti, specie per i più giovani, ma per i più anziani come me persone che abbiamo conosciuto come Padre Flaminio Rocchi, coetaneo di mia madre, che incontravo a Peschiera ai raduni annuali degli esuli dall’isola di Lussino, dove ci sedevamo vicini a tavola e lui mi “indottrinava” col fervore che gli era proprio fino alla fine dei suoi giorni, tanto da suscitare la preoccupazione della sorella con la cui famiglia trascorse gli ultimi anni di vita, che a un certo punto si avvicinava per esortarlo alla calma. E mons. Antonio Vitale Bommarco, di cui anche l’organizzatore di questo Giubileo fu un pupillo, che familiarmente chiamavamo Padre Vitale o semplicemente Padre, che dopo aver ricoperto ripetutamente il ruolo di Padre Provinciale e quello prestigioso di Padre Generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali di S. Francesco e di arcivescovo di Gorizia e Gradisca, si ritirò come un modesto fraticello nel convento francescano di via Giulia a Trieste, dov’era abate Padre Enzo Poiana, un altro dei suoi pupilli, ora abate della Basilica di S. Antonio di Padova.

Fu il periodo che collaborai intensamente con lui nella gestione della Comunità degli esuli da Cherso e del loro periodico. E ricordo pure il mio esodo, a 12 anni, con la mamma e una sorella minore, che non fu drammatico come quello di tanti altri grazie alla previdenza di mio padre che, essendo colpevole di essere siciliano, era fuggito dall’isola un anno prima, s’era trovato un’occupazione e ci aveva trovato un alloggio provvisorio in un centro di accoglienza per le famiglie delle Guardie di Finanza, quale egli era stato. Rimanemmo in questo centro per circa un anno e poi ci fu assegnato un appartamento nel secondo lotto di case popolari costruite dal Comune di Trieste nel dopoguerra. Per me, allieva di seconda media, l’esodo significò, oltre che l’abbandono del paese, della casa, dei parenti, degli amici, cambio di scuola, insegnanti e compagni, cioè inserimento in un nuovo gruppo, che non mi accolse male ma nelle cui dinamiche non riuscii mai a entrare completamente, e soprattutto significò inserirsi in un programma di studio già avviato verso la sua conclusione annuale, perché arrivammo in marzo. Nonostante gli aiuti che la mia famiglia mi fornì, le mie lacune, dovute alla preparazione da privatista al paese natio in prima media e alla frequenza della seconda media a Lussinpiccolo senza la lingua latina, erano enormi e non ce la feci. Fu un bene perché dall’anno successivo iniziò per me un inserimento più tranquillo nella nuova realtà.

Fu l’inizio dell’integrazione e anche di una sorta di mascheramento della mia provenienza, perché non era facile a quei tempi dichiararsi esuli, che erano considerati usurpatori dei posti di lavoro e delle case dei residenti anziché quelli che la casa e il lavoro l’avevano lasciato per continuare a essere italiani, poter esprimere le proprie idee e professare la propria fede religiosa senza tema per la propria vita… E altre cose ancora mi vengono alla mente, come credo sia avvenuto a tutti i più anziani. La Bellaspiga ha concluso la sua lunga allocuzione con le parole di don Cornelio Stefani di Lussino - un’altra conoscenza specie tramite Walter - “Il nostro paradiso si trasformò in un inferno… ma noi non abbiamo ricambiato odio con odio; non esiste altra alternativa al perdono per la pacifica convivenza. Noi dunque abbiamo perdonato, ma abbiamo il sacrosanto diritto di ricordare”. Io mi limito a quel “sacrosanto diritto di ricordare” perché ritengo che il perdono, per quanti hanno subito gravi torti personali o l’hanno visto sopportare ai propri congiunti, sia difficile e in ogni caso personale. Dopo la Santa Messa, sempre cantando le litanie, i convenuti sono andati alla cappella in cui sono custodite le spoglie del venerabile Bullesi, dove si sono succeduti altri discorsi – e in particolare quello del presidente della Federazione degli Esuli, Antonio Ballarin, discendente di esuli da Lussingrande.

Qui i rappresentanti delle varie Associazioni presenti hanno pure ricevuto un quadretto ricordo. E infine c’è stato il pranzo alla Casa del Pellegrino dove, per una modica cifra, è stato servito in tempi ragionevoli, visto il numero dei presenti, un pasto abbondante e assolutamente decoroso inframezzato da canti della tradizione popolare istriana che si sono sviluppati spontaneamente ai vari tavoli.

Alcune immagini della manifestazione: clicca per sfogliare l'album.

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